(di Patrizia Pedrazzini) Non sono molti gli artisti che sono riusciti, nel corso della loro esistenza, a vivere come cittadini di tre Stati diversi. Vassily Kandinsky è stato uno di questi: nato in Russia, a Mosca, nel 1866; celebrato come tedesco al Bauhaus, la prestigiosa scuola di architettura, arte e design che fiorì in Germania fra il 1919 e il ’33; morto francese a Neuilly-sur-Seine, poco fuori Parigi, nel 1944. Un artista senza confini, il cui cammino di viaggiatore, di esploratore di culture, di analista delle ragioni che muovono linee e colori, viene ora riproposto, e ripercorso, nell’ambito della mostra che Milano gli dedica nelle sale di Palazzo Reale. Una grande retrospettiva monografica che, attraverso più di ottanta opere (oli, litografie, xilografie, tempere, linoleografie, linoleum, inchiostri, grafiti, acquerelli, guazzi, puntasecca), provenienti dalla Collezione del Centre Pompidou, racconta, toccandone in ordine cronologico i periodi principali della vita, il viaggio artistico e spirituale di uno dei pionieri dell’arte astratta. Da quando, nel 1896, fresco di studi di economia e diritto romano e russo all’Università, rimane “folgorato” dalla visione de “I covoni” di Claude Monet nella mostra degli Impressionisti che si tenne quell’anno a Mosca, alle esperienze raccolte negli anni trascorsi qua e là in Europa nei decenni fra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale, fra Rivoluzione russa e affermazione del Nazismo, in un turbine di conflitti, venti di rivolta, instabilità. Ma anche, inevitabilmente, di nuove idee e nuove visioni, a contatto con le quali Kandinsky sviluppa il proprio pensiero artistico, che abbraccia peraltro più campi, dalla pittura alla musica al teatro. Nei quali cerca e difende lo “spirituale nell’arte”, come recita il titolo del suo scritto fondamentale (pubblicato a Londra nel ’14), dove affronta lucidamente, sul piano teorico, il rapporto tra forma e colore, e quello, per lui fondamentale, tra colore e suono, alla base dell’astrazione.
L’esposizione milanese ripercorre tutto questo. A partire dalla prima sala, rivestita di pitture parietali, per passare alle quattro vere e proprie sezioni della mostra (che a loro volta si sviluppano in otto sale): l’esperienza di Monaco (1896 – 1914), il ritorno in Russia (1914 – 1921), gli anni del Bauhaus (1921 – 1933), la permanenza a Parigi (1933 – 1944). Un percorso di evoluzione artistica che è già di per sé un viaggio, verso cambiamenti sempre più marcati e significativi, ma anche sempre ognuno nel solco della stagione precedente. E senza mai abbandonare le radici della tradizione russa. Ecco allora, dopo i primi studi artistici all’Accademia di Monaco, i paesaggi post-impressionistici e le tempere ispirate all’arte “popolare” del Paese natale. Ma anche un’opera come “Improvvisazione III”, del 1909, che già segnala il passaggio verso l’astrattismo. Ecco “Quadro con macchia rossa”, del 1914, l’anno nel quale lo scoppio della Grande Guerra lo costrinse a rientrare a Mosca. E l’ultimo dipinto berlinese, “Sviluppo in bruno”, del ’33, quando già sapeva di dover lasciare la Germania. Fino ad “Accordo reciproco” (1942), nel quale si leggono due figure, una maschile l’altra femminile, che venne esposto accanto al letto di morte del Maestro per volere della moglie Nina. La stessa che, fra il ’76 e l’81, fece dono della collezione al Centre Pompidou.
“Vassily Kandinsky. La collezione del Centre Pompidou”. Milano, Palazzo Reale, fino al 27 aprile 2014. Informazioni: Vassily Kandinsky