Incontri e abbracci: centoventi sculture per esplorare la condizione umana. L’attesa, la lontananza, la compassione

Arturo MARTINI, Figliol prodigo, 1926, Bronzo a patina verde Dimensioni cm 219 (h) x 149 x 100. Casa di Riposo Jona Ottolenghi, Acqui Terme (AL)

PADOVA, lunedì 16 settembre – “Incontro e Abbraccio”, mostra d’arte a sviluppo tematico, al Palazzo del Monte di Pietà, a Padova, esporrà – dal 16 novembre al 12 gennaio 2020 – una rassegna di ben 120 sculture del Novecento, esplorando le molteplici singolarità della condizione umana. Tra queste 120 opere, spesso capolavori, saranno esposte sculture di Auguste Rodin, Vincenzo Gemito, Arturo Martini, Pietro Canonica, Jacques Lipchitz, Agenore Fabbri, Virgilio Guidi, Luciano Minguzzi, Fernad Legèr, Henry Moore, Marcel Duchamp, George Segal, Salvator Dalì, Lorenzo Quinn, Igor Mitoraj, fino alle tendenze iconiche di fine secolo. Tutte incentrate sul senso delle attese. “Attese” di persone che chiedono il sostegno di una parola, il riconoscimento di uno sguardo, la condivisione di un gesto. Per offrire una visione dell’uomo, aperto e positivo, in contrapposizione a chiusure, indifferenza o disimpegno.
In ragione di questo obiettivo, la scelta delle opere e la loro collocazione in mostra non risponde ad una cronologia di realizzazione, a ragioni di assonanza stilistica o ad altri criteri che afferiscono alla storia e critica d’arte. La scelta è condotta su tutt’altro registro, persino più affascinante e certo coinvolgente: a fare da filo conduttore sono precisi temi in dialogo tra loro: il cammino della vita, la formazione, l’incontro, la relazione, la lontananza, l’attesa e la compassione.
Tra le espressioni artistiche, – scrive Maria Beatrice Autizi curatrice della mostra insieme con Alfonso Pluchinotta – , la scultura è quella che riesce a rappresentare meglio le problematiche dell’uomo, per la tridimensionalità e per la relazione dei corpi e delle forme nello spazio: quello spazio intimo della materia che racconta il corpo trasformandolo in forma e luogo di accadimenti nelle più diverse modulazioni, ora armoniche in una compostezza classica, ora enfatizzando il movimento con cui la materia racconta se stessa, ora sollecitando le superfici con tonalità impressioniste, o ripiegando su narrazioni liriche, o simboliste, o metafisiche”.
L’opera d’arte scultorea si fa qui sollecitazione, introspezione, ricerca delle forme e dei gesti. L’arte plastica esalta la complessità dei volumi e richiama l’attenzione sul dettaglio, aspetto valorizzato dalla possibilità data ai visitatori di rigirare e toccare alcune delle opere in mostra.
Soprattutto la figura umana a più dimensioni suscita osservazioni diverse, invita a riflettere sulla vita, le sue grandezze e le sue fragilità, più di quanto potrebbero le immagini bidimensionali di uso comune. “Ci stiamo diseducando alla tridimensionalità, al tatto, alla durata che genera rappresentazione, avvertendoci così del rischio di diventare osservatori frettolosi, meno capaci di cogliere le disposizioni dell’animo e dell’affettività”, sottolinea Alfonso Pluchinotta. “Nell’epoca digitale, l’Umanesimo appare sempre più lontano, scavalcato (ma non domato) dalla velocità e dalle nuove possibilità di comunicazione, che limitano l’esercizio dell’attenzione e della riflessione, il farsi della sedimentazione e della memoria, la dimensione reale e rispondente dei contatti”.
Una mostra dalla forte attualità sociale, quindi. E, non a caso, a promuoverla è la Fondazione Salus Pueri, onlus creata nel 1992, a Padova, per far sì che la Pediatria del locale Policlinico sia sempre più “casa”, naturalmente temporanea ma familiare, per i più piccoli.

Alfredo SASSO, Man and mirror, 1980, Bronzo, firmato alla base (A. Sasso) e datato.  Dimensioni cm 67 (h) x 31 x 20

Al progetto hanno aderito l’Università agli Studi di Padova, la Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, la Solgar farmaceutici, Inartis, Poligrafo, Assicurazioni Generali, con il patrocinio della Commissione Europea e di Regione, Provincia e Comune.
Per il valore sociale oltre che culturale della grande rassegna, l’ingresso sarà gratuito, salvo una donazione libera a sostegno delle attività della Fondazione Salus Pueri.
“Incontro e abbraccio” non è solo questa grande mostra. Il progetto le affianca infatti una serie di incontri con Vittorino Andreoli, psichiatra, già Direttore del Dip. di Psichiatria dell’Università di Verona; Barbara Volpi, docente al Dipartimento di Psicologia Dinamica e Clinica de La Sapienza, Roma; Salvatore Piromalli, filosofo, operatore sociale, Responsabile Associazione Le Città Invisibili; Patrizia Manganaro, docente di Storia della Filosofia Contemporanea alla Lateranense di Roma. Chimati ad approfondire i temi della grande mostra.

INCONTRO E ABBRACCIO nella Scultura del Novecento da Rodin a Mitoraj. Padova, Palazzo del Monte di Pietà, Via Monte di Pietà, 8 (Piazza Duomo); 16 novembre 2019 – 12 gennaio 2020; ore 9:30 18:30 – chiuso il lunedì. INGRESSO GRATUITO (donazione libera alla Fondazione Salus Pueri).
www.incontroabbraccio.it

Al Palazzo Ducale le ceramiche che gli inglesi ritennero di Raffaello (“Raffaello ware”). Ma lui ne fu solo l’ispiratore

URBINO, mercoledì 4 settembre – Al Palazzo Ducale di Urbino dal 31 ottobre 2019 al 13 aprile 2020, saranno esposti 147 esemplari di maiolica rinascimentale italiana: una raccolta di altissimo livello, appartenente a un colto collezionista che ha concesso di esporre questa eccezionale collezione, in concomitanza con la grande mostra “Raffaello e gli amici di Urbino” promossa dalla Galleria Nazionale delle Marche al Palazzo Ducale dal 3 ottobre 2019 al 19 gennaio 2020.
Ciascuna delle 147 maioliche testimonia, a livelli altissimi, come la grande stagione rinascimentale italiana sia riverberata su ogni forma artistica e, nello specifico, in quella della maiolica. Tecnica, o meglio arte, che esprime in pieno la ricerca estetica, il clima culturale, ma anche il modus vivendi, che fanno dell’Italia e dei suoi artisti, tra Quattrocento e Cinquecento, il faro culturale dell’Occidente.
Già dal Seicento, nei paesi europei, la maiolica cinquecentesca italiana diventa una vera e propria passione collezionistica e, a quella istoriata, da considerarsi a pieno titolo un aspetto della pittura rinascimentale, viene associato il nome del grande pittore e architetto urbinate Raffaello Sanzio, morto ancora giovane a 37 anni, Raffaello Sanzio (Urbino 1483 – Roma 1520).
A Raffaello si ispira, ora, la stessa mostra di maioliche, in inglese “Raphael ware” (le maioliche di Raffaello). Scrisse Claudio Paolinelli (scrittore, conferenziere e “operatore culturale addetto al restauro dei beni archeologici, e curatore della stessa mostra, insieme con Timothy Wilson): “In Inghilterra, nel corso del Settecento, con il crescente interesse mostrato dai collezionisti per le maioliche rinascimentali italiane, si diffuse l’appellativo di Raphael ware, ad indicare le ceramiche ritenute dipinte dalla mano di Raffaello, aumentandone di conseguenza il prestigio ed il commercio, che ne determinò la dispersione verso le principali collezioni pubbliche e private d’Oltralpe… (In realtà) lo studio del corpo, del panneggio, della composizione” delle opere di Raffaello, ispirò l’arte della ceramica, più di ogni altro pittore.
Più genericamente, seguendo il gusto rinascimentale per la decorazione figurata, i pittori di maiolica – tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento – iniziano a coprire ogni superficie disponibile dei loro oggetti, con istorie di ogni sorta. Le composizioni possono essere invenzioni originali degli stessi maestri ceramisti o riecheggiare quelle delle arti maggiori, ed ancora, essere estratte da xilografie o incisioni.
Nel ducato di Urbino, Casteldurante, Gubbio, Pesaro ma, soprattutto, il capoluogo, divengono famosi per l’istoriato. Urbino è infatti la città che, nella seconda metà del Quattrocento, il Duca Federico trasforma in una delle capitali del Rinascimento, richiamandovi i massimi esponenti della cultura del tempo ed edificandovi il Palazzo Ducale, capolavoro indiscusso della storia dell’architettura di ogni tempo. La città, in questo contesto artistico e culturale, dà i natali a Raffaello, il pittore la cui levatura ancora giganteggia nel panorama artistico universale. Ma, in questo humus creativo, a Urbino si formarono anche alcuni dei più grandi artisti della maiolica italiana: Nicola da Urbino, Francesco Xanto Avelli e Francesco Durantino.
Ad accogliere la mostra al secondo piano del Palazzo Ducale di Urbino sarà la luminosa Loggia del Pasquino, con l’intenzione di mostrare questi raffinati oggetti nella piena luce naturale poiché la maiolica, come quando uscì dalla bottega del ceramista – più di ogni altra forma d’arte del tempo – mostra i suoi colori perfettamente conservati come all’origine.

(p.a.p.)

Galleria Nazionale delle Marche – Palazzo Ducale di Urbino – Piazza Rinascimento 13, 61029 Urbino (PU) – Telefono: 0722 2760. Mostra a cura di Timothy Wilson e Claudio Paolinelli. Direzione di Peter Aufreiter.

www.gallerianazionalemarche.it

 

Un tuffo nella memoria tv degli italiani. Carosello. 20 anni con i più grandi nomi del cinema, del teatro e del design

PARMA, venerdì 9 agosto – La mostra “Carosello. Pubblicità e Televisione 1957-1977” – allestita alla Villa dei Capolavori, sede della Fondazione a Mamiano di Traversetolo, presso Parma, dal 7 settembre all’8 dicembre 2019 – segue, dopo due anni, la prima esposizione dedicata alla storia della pubblicità dal 1890 al 1957, che fu l’occasione per ripercorrere la nascita e l’evoluzione della comunicazione pubblicitaria e in particolare del manifesto.
Se in quella prima tappa della storia della pubblicità fu possibile ammirare le creazioni di famosi cartellonisti, questa nuova occasione espositiva permette di continuare a seguire l’evoluzione della storia della grafica pubblicitaria e del manifesto con grandi designer, come Armando Testa, Erberto Carboni, Raymond Savignac, Giancarlo Iliprandi, Pino Tovaglia, affiancandola a un nuovo media – la televisione – che con Carosello mosse i primi passi nel mondo della pubblicità.
Il visitatore troverà celebri manifesti di quel periodo, affiancati ai bozzetti e agli schizzi, e insieme avrà la possibilità, grazie a una serie di schermi distribuiti nelle sale espositive, di ripercorre l’unicità e l’innovazione degli inserti pubblicitari di Carosello, vincolati al tempo a rigide regole di novità e lunghezza.

Calimero, vetrofania. Collezione Galleria L’IMAGE, Alassio (SV)] @gallerialimage

Si scoprirà l’universo dei personaggi animati che sono nati con la televisione, come La Linea di Osvaldo Cavandoli, Re Artù di Marco Biassoni, Calimero di Pagot o Angelino di Paul Campani, fino alla moltitudine di personaggi nati dalla matita di Gino Gavioli. Bozzetti, schizzi, rodovetri (singoli fotogrammi che compongono la sequenza di un cartone animato) e storyboard di fumetti e filmati, a cui si aggiungono gli inserti pubblicitari in cui sono protagonisti i più importanti cantanti dell’epoca da Mina (Barilla) a Frank Sinatra, da Patty Pravo a Ornella Vanoni e Gianni Morandi o grandi attori come Totò, Alberto Sordi, Virna Lisi, Vittorio Gassman e grandi registi come Luciano Emmer, Mauro Bolognini, Ettore Scola, i fratelli Taviani, oltre a personaggi tv popolarissimi come Mike Bongiorno, Pippo Baudo, Raffella Carrà, Sandra Mondaini e Raimondo Vianello.
La pubblicità di quel periodo – dal 1957 al 1977, non solo televisiva – introdusse una vera e propria rivoluzione nel patrimonio culturale e visivo di tutti. Carosello era trasmesso in bianco e nero, ma per gli italiani era ricco di colori. Aveva infatti i colori del consumo, i colori di un nuovo mondo di beni luccicanti che si presentavano per la prima volta sulla scena sociale: lavatrici, frigoriferi, automobili, alimenti in scatola, etc.
Carosello non era semplicemente pubblicità, ma un paesaggio fiabesco dove regnavano la felicità e il benessere, un paesaggio estremamente affascinante per una popolazione come quella italiana che proveniva da un lungo periodo di disagi e povertà. Un paesaggio onirico che esercitava un effetto particolare nei piccoli paesi, nelle campagne e nelle regioni più arretrate, dove rendeva legittimo l’abbandono di quell’etica della rinuncia che apparteneva alla vecchia cultura contadina, in favore dell’opulenza della città e dei suoi beni di consumo. Carosello, dunque, ha insegnato a vivere la modernità del mondo dell’industria, ha insegnato cioè che esistevano dei nuovi beni senza i quali non ci si poteva sentire parte a pieno diritto del nuovo modello sociale urbano, industriale e moderno. E ha insegnato anche come tali beni andavano impiegati e collocati all’interno del modo di vita di ciascuno.
Seppure vincolato dalle rigide norme imposte dalla Rai puritana dell’epoca, ha comunque potuto mostrare le gratificazioni e le diverse fonti di piacere che erano contenute nei nuovi beni di consumo. Forse non è un caso che a Carosello lavorassero insieme i migliori creativi e le migliori intelligenze del teatro e del cinema italiano dell’epoca.

Armando Testa, “Cafè Paulista non c’è bocca che resista” (1960-65), collage e tempera su cartone. CSAC fondo Testa Università di Parma

L’esposizione, fra gli altri contributi, si avvale della collaborazione col prestito di un importante numero di bozzetti originali e manifesti di Carboni, Iliprandi, Testa, Tovaglia del Centro Studi e Archivio della Comunicazione (CSAC) dell’Università di Parma, e di manifesti d’epoca del Museo nazionale Collezione Salce di Treviso e della Collezione Alessandro Bellenda. Galleria L’IMAGE, Alassio (SV), di archivi aziendali e di importanti collezioni private. Per tutta la parte filmica si avvale del contributo dell’Archivio Generale Audiovisivo della Pubblicità Italiana e del personale apporto del suo Fondatore e Direttore, lo storico della pubblicità Emmanuel Grossi. La mostra e il catalogo – La mostra – a cura di Dario Cimorelli, cultore di storia della pubblicità, e Stefano Roffi, direttore scientifico della Fondazione, come il precedente capitolo dedicato alla pubblicità del periodo 1890-1957 – è accompagnata da un catalogo edito da Silvana Editoriale, dove, oltre ai saggi dei curatori e alla riproduzione di tutte le opere esposte, vengono ripubblicati testi fondamentali di Omar Calabrese, a cui vengono affiancati nuovi testi di Stefano Bulgarelli, Emmanuel Grossi, Roberto Lacarbonara, a completare la disamina sulle diverse tematiche relative a Carosello.

CAROSELLO. Pubblicità e Televisione 1957-1977 – Fondazione Magnani-Rocca, via Fondazione Magnani-Rocca 4, Mamiano di Traversetolo (Parma). Dal 7 settembre all’8 dicembre 2019. Aperto anche i festivi. Informazioni e prenotazioni gruppi: tel. 0521 848327 / 848148

www.magnanirocca.it

 

Magnum, l’inizio. A Milano la prima mostra che l’agenzia fotografica allestì nel ’55. Otto miti dell’obbiettivo in 83 scatti

Villaggio in festa a Biarritz, Francia, 1951 © Robert Capa/International Center of Photography/Magnum Photos

MILANO, giovedì 9 maggio (di Patrizia Pedrazzini) Quando, nel settembre del 2006, a Parigi Andrea Holzherr, oggi responsabile per le mostre e gli eventi culturali di Magnum Photos, aprì le due casse di legno piuttosto male in arnese che casualmente, durante un trasloco, erano state trovate in uno scantinato dell’Istituto francese di Innsbruck, quello che vide aveva del sorprendente. Vecchi pannelli di legno sui quali erano montate fotografie ingiallite ricoperte di polvere, sporco e muffa. E odore di stantio. Un ritrovamento che, racconta, “somigliava più alla scoperta di una mummia che a quella di un tesoro”. Si trattava, in realtà, del contenuto di “Gesicht der Zeit” (“Il volto del tempo”), la prima mostra in assoluto (e tra l’altro itinerante) che la celebre agenzia fotografica, nata nel 1947, aveva allestito, fra il giugno del ’55 e il febbraio del ’56, in cinque città austriache. Dopo di che se ne erano perse le tracce.
Ora, e fino al prossimo 6 ottobre, l’intero corpus di quella storica esposizione, comprese le due casse di legno, i cartellini, la locandina originale e le istruzioni dattiloscritte per l’allestimento, è visibile a Milano al Museo Diocesano di piazza Sant’Eustorgio. Otto miti del fotogiornalismo mondiale, per un totale di 83 immagini vintage in bianco e nero, scelte all’epoca dagli stessi fotografi per dare forma e sostanza a una mostra che, sessantaquattro anni dopo, si è solo data un nuovo nome: “Magnum’s First. La prima mostra di Magnum”.
Si incomincia con dieci foto di Inge Morath, l’unica donna dell’agenzia, destinate a un articolo pubblicato sulla rivista “Holiday” nel 1953: scatti realizzati a Londra, fra Soho e Mayfair, incluso il celebre ritratto di Lady Nash. Si passa quindi a Jean Marquis, presente con altrettante immagini frutto di un viaggio in Ungheria nel’54. A Erich Lessing si devono invece le fotografie che parlano di una Vienna occupata, nel 1954, dagli Alleati, e dalle quali trapelano serenità e buonumore, con il Belvedere, il Prater, la chiesa di san Carlo: momenti di vita che la critica
allora definì “scene d’infanzia colte in modo meraviglioso”. Mentre Ernst Haas propone una serie di foto di grande impatto emotivo, scattate nel ’55 durante le riprese, in Egitto, del kolossal hollywoodiano “La Regina delle Piramidi”, di Howard Hawks, fra caldo, cave di pietra, tempeste di sabbia e quattromila comparse.

Gandhi appena dopo aver interrotto il suo digiuno, Birla House, Delhi, India, 1948 © Henri Cartier-Bresson/Magnum Photos

La zampata del leone arriva però, abbastanza inevitabilmente, con le diciotto immagini di Henri Cartier-Bresson realizzate a Delhi fra il 1947 e il ’48 (per un servizio su “Life”) e relative agli ultimi giorni di vita e al funerale del Mahatma Gandhi: il dolore dell’India, le migliaia di persone al corteo funebre, la pira, la dispersione delle ceneri. È poi la volta di Werner Bischof, e dei suoi sette scatti di “responsabilità sociale”, che prediligono, in giro per il mondo, le delicate sfumature di una quotidianità aliena da sensazionalismi: un bambino che suona il flauto in Perù, un prete scintoista nel cortile di un tempio in Giappone. Dal canto suo, Marc Riboud partecipa con alcune foto giovanili, realizzate nel 1951, che documentano la vita nei villaggi della Dalmazia, fra Vrlika, Spalato e Dubrovnik: al limite del simbolico l’ultima della serie, che ritrae un ritratto del presidente jugoslavo Tito mentre viene riportato al suo posto al termine di un congresso. Infine Robert Capa: solo tre immagini, ma niente a che vedere con le grandi storie di guerra, di sangue e di morte che lo contraddistinguono. Le fotografie vennero selezionate dopo la scomparsa del fotografo ungherese (avvenuta nel’54 in Indocina) e sono scatti di pace, che fissano gente del popolo mentre danza serena durante una festa basca, a Biarritz, nel 1951. Facevano parte di un servizio fotografico per la rivista di viaggi “Holiday”, probabilmente andato perduto.
Nel complesso, una mostra dalla storia e dalla lettura tutt’altro che semplici. “Un rompicapo”, come la definisce la curatrice Andrea Holzherr. Quanto meno, fin dall’inizio, l’immagine di una Magnum che propone, e difende, il valore della fotografia non solo in quanto documento storico, ma anche come testimonianza artistica, prodotto della mente, e dell’occhio, del suo autore.

“MAGNUM’S FIRST. La prima mostra di Magnum”, Milano, Museo Diocesano Carlo Maria Martini, piazza Sant’Eustorgio 3. Fino al 6 ottobre 2019.
Informazioni: tel. 02.89420019
www.chiostrisanteustorgio.it