
Villaggio in festa a Biarritz, Francia, 1951 © Robert Capa/International Center of Photography/Magnum Photos
MILANO, giovedì 9 maggio ► (di Patrizia Pedrazzini) ◄ Quando, nel settembre del 2006, a Parigi Andrea Holzherr, oggi responsabile per le mostre e gli eventi culturali di Magnum Photos, aprì le due casse di legno piuttosto male in arnese che casualmente, durante un trasloco, erano state trovate in uno scantinato dell’Istituto francese di Innsbruck, quello che vide aveva del sorprendente. Vecchi pannelli di legno sui quali erano montate fotografie ingiallite ricoperte di polvere, sporco e muffa. E odore di stantio. Un ritrovamento che, racconta, “somigliava più alla scoperta di una mummia che a quella di un tesoro”. Si trattava, in realtà, del contenuto di “Gesicht der Zeit” (“Il volto del tempo”), la prima mostra in assoluto (e tra l’altro itinerante) che la celebre agenzia fotografica, nata nel 1947, aveva allestito, fra il giugno del ’55 e il febbraio del ’56, in cinque città austriache. Dopo di che se ne erano perse le tracce.
Ora, e fino al prossimo 6 ottobre, l’intero corpus di quella storica esposizione, comprese le due casse di legno, i cartellini, la locandina originale e le istruzioni dattiloscritte per l’allestimento, è visibile a Milano al Museo Diocesano di piazza Sant’Eustorgio. Otto miti del fotogiornalismo mondiale, per un totale di 83 immagini vintage in bianco e nero, scelte all’epoca dagli stessi fotografi per dare forma e sostanza a una mostra che, sessantaquattro anni dopo, si è solo data un nuovo nome: “Magnum’s First. La prima mostra di Magnum”.
Si incomincia con dieci foto di Inge Morath, l’unica donna dell’agenzia, destinate a un articolo pubblicato sulla rivista “Holiday” nel 1953: scatti realizzati a Londra, fra Soho e Mayfair, incluso il celebre ritratto di Lady Nash. Si passa quindi a Jean Marquis, presente con altrettante immagini frutto di un viaggio in Ungheria nel’54. A Erich Lessing si devono invece le fotografie che parlano di una Vienna occupata, nel 1954, dagli Alleati, e dalle quali trapelano serenità e buonumore, con il Belvedere, il Prater, la chiesa di san Carlo: momenti di vita che la critica
allora definì “scene d’infanzia colte in modo meraviglioso”. Mentre Ernst Haas propone una serie di foto di grande impatto emotivo, scattate nel ’55 durante le riprese, in Egitto, del kolossal hollywoodiano “La Regina delle Piramidi”, di Howard Hawks, fra caldo, cave di pietra, tempeste di sabbia e quattromila comparse.

Gandhi appena dopo aver interrotto il suo digiuno, Birla House, Delhi, India, 1948 © Henri Cartier-Bresson/Magnum Photos
La zampata del leone arriva però, abbastanza inevitabilmente, con le diciotto immagini di Henri Cartier-Bresson realizzate a Delhi fra il 1947 e il ’48 (per un servizio su “Life”) e relative agli ultimi giorni di vita e al funerale del Mahatma Gandhi: il dolore dell’India, le migliaia di persone al corteo funebre, la pira, la dispersione delle ceneri. È poi la volta di Werner Bischof, e dei suoi sette scatti di “responsabilità sociale”, che prediligono, in giro per il mondo, le delicate sfumature di una quotidianità aliena da sensazionalismi: un bambino che suona il flauto in Perù, un prete scintoista nel cortile di un tempio in Giappone. Dal canto suo, Marc Riboud partecipa con alcune foto giovanili, realizzate nel 1951, che documentano la vita nei villaggi della Dalmazia, fra Vrlika, Spalato e Dubrovnik: al limite del simbolico l’ultima della serie, che ritrae un ritratto del presidente jugoslavo Tito mentre viene riportato al suo posto al termine di un congresso. Infine Robert Capa: solo tre immagini, ma niente a che vedere con le grandi storie di guerra, di sangue e di morte che lo contraddistinguono. Le fotografie vennero selezionate dopo la scomparsa del fotografo ungherese (avvenuta nel’54 in Indocina) e sono scatti di pace, che fissano gente del popolo mentre danza serena durante una festa basca, a Biarritz, nel 1951. Facevano parte di un servizio fotografico per la rivista di viaggi “Holiday”, probabilmente andato perduto.
Nel complesso, una mostra dalla storia e dalla lettura tutt’altro che semplici. “Un rompicapo”, come la definisce la curatrice Andrea Holzherr. Quanto meno, fin dall’inizio, l’immagine di una Magnum che propone, e difende, il valore della fotografia non solo in quanto documento storico, ma anche come testimonianza artistica, prodotto della mente, e dell’occhio, del suo autore.
“MAGNUM’S FIRST. La prima mostra di Magnum”, Milano, Museo Diocesano Carlo Maria Martini, piazza Sant’Eustorgio 3. Fino al 6 ottobre 2019.
Informazioni: tel. 02.89420019
www.chiostrisanteustorgio.it