
Milano. Una scena di “Miseria e nobiltà” di Eduardo Scarpetta, al Franco Parenti… Dopo tanta fame, finalmente arrivano gli spaghetti (foto Federico Riva).
(di Paolo A. Paganini) Dai gloriosi lombi del teatro comico napoletano, discese, fin dal Cinquecento, una robusta progenie di avventurose e spericolate “maschere”, protagoniste d’una drammaturgia che, su su per la Penisola, seppe anche valicare le Alpi verso successi non solo nostrani. A Napoli nacque Pucinella, furbo e cialtrone. Quando, dopo più di tre secoli, Antonio Petito ne celebrò per l’ultima volta le gesta, lasciò a Eduardo Scarpetta (1853-1925) il testimone d’una comicità, che l’attore e drammaturgo napoletano fece rivivere nei panni d’un non meno celebre Felice Sciosciammocca. Ora Geppy Gleijeses lo sta scarrozzando per l’Italia. Con lui, in uno scatenato divertissement, c’è anche Lello Arena, altrettanto vetusto di glorie comiche fin dagli anni 70, quando con Massimo Trosi e Enzo Decaro, inventò “La Smorfia”, trio comico di non dimenticata presenza cabarettistica anche sul piccolo schermo. Ora, Geppy e Arena sono sulla scena del milanese Franco Parenti, con “Miseria e nobiltà”, la più celebre e originale commedia di Scarpetta, tra l’altro inesausto facitore di farse, ispirate a pochades, a vaudevilles francesi e a canovacci goldoniani, compresa questa “Miseria e nobiltà”, storia di non molto nobili miserie e di molto miserevoli nobiltà.
I due tempi (uno di cinquanta minuti e l’altro di 55), con la regia – disomogenea – di Geppy Gleijeses, sono stati in realtà due modi antitetici e squilibrati di concepire questo allestimento. Il primo tempo risente delle cupe atmosfere più di Raffaele Viviani che di Scarpetta. Tutti gli attori sono a vista, spostandosi in centro scena a mano a mano che l’azione lo impone. Un’apprezzata idea registica di piacevole ed interessante inventiva. E bravo Geppy! L’unica vera protagonista, qui, è la Fame, una fame maiuscola, nera tragica “cannibalesca” disperata. Ancora più sciagurata del nostro pur disperato “Nost Milan” di Bertolazzi (anche questo diviso in due parti, “La povera gent” e “I sciori”). Questo primo tempo giustifica tutto lo spettacolo.
Poi è mancato di coraggio.
La singolare scena sgombra con gli attori marginalmente a vista è stata sostituita da una cartonesca scenografia ottocentesca, necessaria da copione per l’esigenza di nascondere i personaggi, che qui ora, sotto mentite spoglie di nobili imbroglioni, devono entrare ed uscire con effetti a sorpresa alla Feydeau, in una farsaccia che contraddice la disperata umanità del primo tempo. Eppure sarebbe stato estremamente interessante continuare come il primo tempo, come una specie di teatro laboratorio, lasciando cioè i personaggi sempre in vista (già tanto tutti intuiscono come andrà a finire) e soprattutto lasciando agli spettatori il piacere di spiarne le “entrate” sceniche, compresi i cambi di costume. L’avrebbe imposto, appunto, quel primo tempo.
Geppy Gleijeses, in un clima generale di gioiosa napoletanità (italianianizzata quanto è bastato per rendere comprensibile la vulgata) è stato uno Sciosciammocca ottimo e piacevole quando misurato, ma poi, quando si lascia travolgere dai meccanismi della farsa, più macchietta che comico. Così come – sempre nel secondo tempo – tutto scivola nel macchiettismo, da Lello Arena a Marianella Bargilli (caspita, che brava nel primo tempo). E così anche tutti gli altri, tutti vogliosi di far ridere: Antonietta D’Angelo, Gina Perna, Luciano D’Amico, Gino De Luca, Leonardo Faiella, Jacopo Costantini, Gigi De Luca, Silvia Zora, Liliana Massari, Vincenzo Leto. Risate assicurate e grandi applausi alla fine per tutti.
Al Teatro Franco Parenti, Via Per Lombardo 13, Milano – repliche fino a domenica 1 dicembre.
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LIMBIATE 13 dicembre
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BRESSANONE 9 gennaio
MERANO 10 gennaio
BRUNICO 11 gennaio
VIPITENO 12 gennaio
BRESCIA Teatro Sociale dal 15 al 19 gennaio
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