MILANO, giovedì 12 gennaio ► (di Paolo A. Paganini) – Charles Baudelaire, autore dell’unico e fondamentale libro di poesie, “Fleurs du mal” (1857), è fra le più alte espressioni della poesia europea di tutti i tempi. Ebbe il trascinante e suggestivo fascino di involontario caposcuola in una confraternita di “maledetti”, da Verlaine a Mallarmé, a Rimbaud.
Lui, Charles, il “maledetto” per antonomasia, tanto che il suo libro dovette subire un processo per immoralità. Che ne aumentò la fama.
La maledizione, che Baudelaire si portava addosso, nasceva dalla sua ripugnanza per la vita borghese, con il suo nero seguito di angoscia, disgusto, malinconia. Per la noia, insomma, che Charles aveva coniato dall’inglese “spleen”, “umore nero”. Un termine medico entrato poi nel vocabolario d’uso comune. Alla base di tutto, c’era in Charles il sentimento della caduta, il senso di una battaglia persa, tra la carne e lo spirito, dell’inferno contro il cielo, di Satana contro Dio.
Intravedendo però un’unica via di salvezza nella la bellezza, anelito di speranza, ultimo doloroso rifugio del poeta.
La bellezza eterna e l’arte “che ne è il suo riflesso”, unica arma contro “la realtà ripugnante del tempo”: vero nemico dell’umanità, un mostro che distrugge la forza vitale.
Le droghe, poi, serviranno a fornire un po’ di fiducia, necessaria per sopravvivere: l’oppio, l’hashish, e, soprattutto, il vino. Sempre con controllata moderazione, solo per raggiungere i mistici e meravigliosi “Paradisi artificiali”, perché “là, tout n’est qu’ordre et beauté, calme et volupté”. Eppure, con la sua straordinaria potenza poetica, fatta di verità e di fascinosi simbolismi, Charles, il poeta maledetto, riuscì perfino a immortalare la bellezza del male. Del male di vivere, di ieri e di oggi.
Questa breve introduzione ci consente di entrare in una triade meravigliosa di poesia, com’è creata e recitata al Teatro Studio, da Toni Servillo, con la regia autorale di mostruosa abilità, dello scrittore Giuseppe Montesano, che ha drammaturgicamente cucito insieme: “Tre modi per non morire: Baudelaire, Dante, i Greci”.
In un monologo di 106 minuti senza intervallo, detti da Servillo al leggio. Niente scenografie, solo luci e un misterico, suggestivo e meraviglioso commento musicale, per lasciare così libero campo ed esaltazione solo alla incontrastata maestà della parola, di un fulgore abbacinante, grazie anche e soprattutto al suo interprete, che ha lasciato da parte la sua istrionica ironia, così malinconica e dolorosa della “Grande bellezza”, per riprendersi in un altro eccezionale versante drammaturgico, di una generosità interpretativa di rara potenza e passionalità drammatica.
Delle tre parti del lavoro di Montesano, quella di Baudelaire occupa lo spazio maggiore. Che volete, il verginale ed angelico Dante come può competere con il “maledetto” Baudelaire, poeta imparentato con noi moderni e con il nostro tempo disperato, come fare paragoni fra il peccaminoso Paradiso artificiale di Baudelaire e le mistiche serenità del Paradiso dantesco?
Diciamo che Dante, qui, scivola via.
Ma poi il monologo si rifà potentemente con i Greci, che già duemilacinquecento anni fa inventarono la logica, la filosofia e la cultura, prevedendo fin da allora il fallimento dell’uomo nella sua attuale disperazione di un mondo senza anima, senza creatività, schiavo della dittatura tecnologica, dove il digitale ha preso il posto della libertà, della verità, dei sentimenti, ed ora l’angoscia e il suo spleen hanno scavato una irrimediabile fossa di angoscia, di orrori, di noia. Ed ogni ricerca di bellezza e di libertà è diventata inutile. Pax.
Entusiastici applausi finali, e un’intima soddisfazione, o una speranza, o un’illusione: il teatro ha dimostrato che sa ancora parlare al suo pubblico. Una specie di rinascita?
Si replica fino a domenica 22.
Uno spettacolo al Teatro Studio, in onore del “maledetto” Baudelaire. In buona compagnia con Dante e con i Greci
Lettura quasi shakespeariana d’un possente “Boris Godunov” alla Scala. Grandi Riccardo Chailly e Ildar Abdrazakov
MILANO, giovedì 8 dicembre ► (di Carla Maria Casanova)
Boris Godunov alla Scala per l’inaugurazione di stagione 2022-2023. Se ne è parlato da tempo anche perché si è trattato quasi di una inaugurazione del Teatro in senso lato. Per via del Covid, ovviamente. Ma, al contrario di quanto ci si sarebbe aspettato, è subentrata una sorta di parola d’ordine (“Si estinguano le faci e non si offenda, col clamor del trionfo, i prodi estinti”, ordina il Doge nel Simon Boccanegra ). Agire quasi “in sordina”, parola non confacente ad uno spettacolo musicale … Diciamo allora “in austerità”, citando solo la presenza dei nomi della politica (presidente della Repubblica, del Senato, del Consiglio) con l’aggiunta di Ursula von der Leyen. Infatti, una platea con il nero imperante e nessuna divagazione trasgressiva nelle toilettes delle dame. Per la prima volta, l’usata infiorata della sala riguardava esclusivamente il balconcino del palco ex-reale. Gli applausi per gli occupanti di questo palco hanno accumulato minuti 5 (oso dire esagerati). Due gli inni nazionali: Italiano ed europeo.
Lo spettacolo essendo stato proiettato in 32 luoghi dei 9 Municipi milanesi e in tre spazi nell’area metropolitana per un totale all’incirca di 10.000 persone, oltre allo streaming su Rai Uno che deve aver accontentato migliaia di appassionati casalinghi, se qualcuno non ha visto questo Boris è segno che proprio non voleva vederlo. La ormai imperante soluzione dello streaming, indispensabile nei due anni di galera, ha però un inconveniente. Essere un deterrente assoluto per la presenza in teatro del pubblico, che diserta sempre più le sale. Ci sarà un modo per farlo ritornare (il pubblico)? Non so.
Dunque il Boris. Gigantesco capolavoro dalla lunga e travagliata storia. Modesto Musorgskij incominciò a comporlo, sulla tragedia di Puškin, nel 1868 e nel 69 era bell’e pronto. Ma non piacque alla censura dei Teatri Imperiali che gli impose delle rettifiche, per esempio aggiungere un personaggio femminile nel senso di una storia d’amore (erano previste nell’opera ben quattro donne, ma un po’ defilate). Il musicista aggiunse il famoso “atto polacco”, con il personaggio della bella Marina, niente male se si vuole, ma che non c’entra un granché con il resto dell’opera. Comunque così alla giuria il Boris piace. Purtroppo, nel 1881 Musorgskij, alcolizzato, muore cinquantenne e per il Boris seguono altri rifacimenti, addirittura ri-orchestrazioni, per mano di Rimskij-Korsakov e poi di Šostakovič. Versioni brillanti più “teatrali” con un bel duettone d’amore e gli atti un po’ rimescolati, chiudendo con una scena meno traumatica, per il pubblico, della morte dello zar, finale di grande impatto che per fortuna è toccato a noi ieri sera. Il maestro Riccardo Chailly direttore dell’opera ha infatti scelto la prima edizione originale, 1869. Il “mai data alla Scala” non è però esatto. Anche Gergiev, che diresse il Boris agli Arcimboldi nel 2002, usò l’edizione 1869 (senza atto polacco) ma Chailly ha ripescato una ennesima nuova edizione critica (di Levašev) con qualche battuta in più.
E adesso subito, senza più tergiversare, questo bellissimo Boris Godunov. Regìa di Kasper Holten, scene di Es Devlin, costumi di Ida M. Ellekilde, luci di Jonas Bogh. Cast di cantanti russi. Protagonista Ildar Abdrazakov. Il sipario si apre su una scena nera in cui si immette il coro femminile dai costumi rossi. Bellissimo effetto. Poi ci sarà anche un coro di pellegrini in vesti bianche e, per l’arrivo e incoronazione dello zar, un tripudio di oro. Bello, bello. L’apparizione di Boris al popolo adorante avviene con una immagine da Flauto magico: al centro si apre un corridoio pieno di luce dal quale escono i monaci e i boiari in costumi lucenti e poi lui, lo zar di tutte le Russie, con l’imperio trascendentale del Sarastro mozartiano. Nella successiva scena della cella di Pimen il fondale e il pavimento sono la proiezione di uno scritto: il diario che il monaco sta scrivendo sugli eventi sanguinosi che hanno portato Boris al trono. Lo zar è infatti accusato di aver ordito l’uccisone dello zarevic Dimitri, legittimo successore di Ivan il Terribile (che nel racconto di Puskin viene ricordato come meraviglioso monarca lungimirante). Qui, nella regìa, qualcosa di troppo: l’apparizione del bambino insanguinato, che puzza di gran Guignol. Presenza ripetuta nel finale, quando addirittura i bambini insanguinati sono i due figli di Boris, presentimento di un futuro carico di orrori. È invece molto ben congeniata la fuga del falso Dimitri dal confine con la Lituania, facendolo minacciare con la pistola il doganiere che gli aprirà il cancello. Nella seconda parte del’opera (quattro atti e sette quadri) i personaggi vestono abiti ottocenteschi, portati ad una dimensione umana più accessibile, seguendo il dramma psicologico del regicidio. Boris non muore cadendo dal trono ma dal suo letto, abbracciato ai figli. Sul corpo oramai esanime dello zar plana il sorriso sardonico del falso Dimitri: “È trapassato” (vedi Jago a Otello “Ecco il Leon” o Tosca a Scarpia: “E davanti a lui tremava tutta Roma…”).
Boris Godunov è teatro e soprattutto musica. Musica possente ma anche intimista. Chailly (questa la sua nona inaugurazione di stagione scaligera) affronta la partitura integra di Musorgskij per la prima volta, dopo sporadiche esperienze nel repertorio russo. Entusiasta di questa prima versione, ne ha fatto una lettura “shakespeariana” avvicinando Boris al Macbeth, diretto nella inaugurazione scorsa. I due protagonisti sono uniti nell’ambizione del potere, nel delitto e nelle allucinazioni. E così Chailly li ha descritti, puntando sul versante psicologico, sottolineando l’evidenza drammatica nelle sue sfumature più intime.
Gli interpreti (15, con 6 protagonisti ma con parti minori distribuite perfettamente) sono tutti dei fuoriclasse specialisti di questo repertorio. Protagonista Ildar Abdrazakov, probabilmente oggi il miglior Boris sulla piazza. La storia cita tanti grandi e grandissimi Boris passati dalla Scala, dallo storico Fiodor Chaliapin (il Caruso dei bassi) a Zaleski e Carlo Galeffi diretti da Toscanini, e Tancredi Pasero, Boris Christoff, Nicola Rossi Lemeni, Nicolai Ghiaurov, Nicola Ghiuselev e i nostri Ruggero Raimondi e Ferruccio Furlanetto, tanto per ricordare che non furono solo i russi a spopolare. Su Rossi Lemeni c’è un piccolo prezioso aneddoto. Il basso, nato a Istanbul da padre italiano e madre russa, si chiamava Nicola Rossi. Fu Toscanini a dirgli “Non puoi affrontare un personaggio come Boris Godunov con quel nome, devi aggiungerne un secondo”. Il cantante aggiunse il nome elaborato della madre: Lemeni. Di Boris, Lemeni aveva oltre alla voce e alla figura anche il viso impressionante, che manca ad Abdrazakov il quale, sia pur con imponente statura fisica, ha un viso pacioso da bravo ragazzo, poco confacente all’imperio di uno zar. E che zar. I primi piani televisivi non lo avvantaggiano. È però efficace ed avvincente l’espressione delle sue tormentate allucinazioni. E la voce grande, calda, rivelatasi nel 2000 al Concorso Maria Callas di Parma, gli hanno permesso di costruire un Boris di forte emozione. Cantante oramai internazionale di enorme prestigio, Abdrazakov è alla sua sesta inaugurazione scaligera. Alla Scala tornerà nel marzo 2023 per interpretare i quattro personaggi diabolici nei Contes d’Hoffmann diretti da Frédéric Chaslin.
Nel cast del Boris si evidenziano altri due formidabili bassi: il monaco Pimen e il vagabondo Varlaam, rispettivamente Ain Anger e Stanislav Trofimov (parecchi grandi protagonisti hanno interpretato tutti e tre i ruoli). Sono tenori Grigorjij (Dmitry Golovnin) , il viscido Sujskij (Norbert Ernst) e l’Innocente (Yaroslav Abaimov). È baritono Scelkalov (Alexey Markov). L’ostessa è Maria Barakova. Direi che Ain Anger, nel monologo di Pimen con il falso Dimitri, abbia toccato punte assolute nel tono sussurrato, quasi estatico.
Impegno grandissimo quello del Coro del Teatro alla Scala diretto da Alberto Malazzi con la partecipazione del Coro di Voci bianche dell’Accademia Teatro alla Scala diretto da Bruno Casoni. L’Orchestra della Scala sotto alla bacchetta di Chailly ha dato una ennesima pregevolissima prova.
Lo spettacolo, iniziato alle ore 18,10 (10 minuti di ritardo per via degli applausi alla compagine governativa) dura tre ore e mezza. Mi dicono che i commenti alla TV dei presentatori, durante la mezz’ora di intervallo (anche io ricordo quelli degli anni passati), sono di una pochezza e inesperienza imbarazzanti. Uno spettacolo lirico non è “Ballando con le stelle”. Possibile che Mamma Rai non possa offrire niente di meglio? Magari una sostanziosa carrellata sul pubblico, che tanto sgomita per farsi riprendere dalla potente TV , sarebbe la soluzione migliore (senza far parlare le belle signore, per carità!).
“Boris Godunov” si replica il 10, 13, 16, 20, 23, 29 dicembre alle ore 20
Scienziati nucleari. Salute a rischio anche per le generazioni che verranno, quando si ha a che fare con l’energia atomica
BAGNACAVALLO (RA), venerdì 2 dicembre ► (di Andrea Bisicchia) – Normalmente si è abituati a pensare al teatro come a qualcosa di completamente estraneo alla scienza, non è cosi, perché ormai sono tanti gli esempi che dimostrano il contrario, a cominciare dal “Galileo” di Brecht, per continuare con “I fisici” di Durrenmatt, “Sul caso J. Robert Oppenheimer” di Kipphardt, “Copenaghen” di Frayn, etc, come dire che, sul palcoscenico, abbiamo visto scienziati come Einstein, Bohr, Heisemberg discutere sul rapporto che esista tra scienza ed etica e su chi cadano le colpe nel caso di disastri atomici.
Protagonisti di “The Children”, andato in scena al Teatro Goldoni di Bagnacavallo, con la regia di Andrea Chiodi, sono Elisabetta Pozzi (nella foto), Giovanni Crippa e Francesca Ciocchetti, che interpretano tre ingegneri nucleari andati in pensione, dopo aver lavorato in una centrale atomica, con la consapevolezza del rischio globale, a causa di qualche grave incidente, che mette persino in dubbio l’uso civile di tale energia a causa delle conseguenze che potrà avere sui singoli, come accade in questa pièce che si svolge in un cottage della costa britannica, dove vivono Hazel e Robin, e dove si è abbattuto un terribile disatro ambientale che ha causato molti inconvenienti, a cominciare dall’acqua e dalla elettricità razionate.
La giovane autrice, Lucy Kirkwood, che ha debuttato con “The Children”, a Londra nel 2016, classificato dal Guardian al terzo posto tra le migliori commedie del XXI secolo, non ha scelto il genere documentario, né tanto meno quello della conversazione, in salotto, tra scienziati, bensì quello di una commedia finto-brillante, con quel tanto di comicità, originata da situazioni perlomeno ambigue, che verremo a scoprire, quando nel cottage arriverà, senza alcun preannunzio, la collega e amica Rose a complicare un equilibrio delicato.
Come mai è venuta, dopo anni di silenzio?
Scopriremo che Rose è ammalata di cancro, malattia che ritiene conseguenza del suo lavoro nella centrale nucleare, ma che sia venuta per vedere, per l’ultima volta, Robin di cui è stata, un tempo, innamorata, scoprendo che anche lui ha subito delle conseguenze drammatiche, come dire che la scienza riesce a fare sempre delle vittime che si immolano in nome del progresso. A questa ineluttabilità, però, si oppone Rose perché, a suo avviso, non si possono disconoscere i danni che si abbatteranno sulle nuove generazioni e, pertanto, sui futuri Childrens.
Una simile materia è stata trattata dal regista Andrea Chiodi col ricorso a una sottile leggerezza e con la volontà di trasformare la complessità del dettato in qualcosa di più piacevole, affrontando i conflitti familiari, non certo alla maniera di Ibsen, bensì di Shaw, maestro nel rendere accettabile anche le cose più inaccettabili e di dare, ai sensi di colpa, una parvenza di moralità.
È chiaro che quando si affrontano problemi che riguardano la scienza, ritorna sempre in auge il problema della responsabilità, ovvero se le scoperte, che dovrebbero essere al servizio dell’umanità, alla fine, le si ritorcono contro, come nel nostro caso, in cui il senso di responsabilità è rivolto alle generazioni future, in particolare a quelle che hanno a che fare proprio con le centrali nucleari. Il tema, quindi, diventa come proporsi dinanzi alla vita e alla salute del pianeta.
Andrea Chiodi mette i suoi attori dinanzi a questo dilemma, rende Hazel, interpretata da una straordinaria Elisabetta Pozzi, bravissima nel mostrare i suoi stati d’animo sempre mutevoli, la donna che non rinunzia alla vita, curando il proprio corpo con esercizi ginnici, ai quali non intende affatto rinunziare, trasforma Robin, a cui Giovanni Crippa dà una solida ironia, pur essendo a conoscenza delle sue condizioni di salute, in un marito in fondo felice, mentre richiede a Francesca Ciocchetti una recitazione un po’ distaccata che fa presagire il suo strano rapporto con la morte. I tre personaggi sono legati da fili invisibili, labili, pronti a essere spezzati da un momento all’altro.
Gli spettatori del Goldoni hanno partecipato, con intensità e applaudito con convinzione.
Accademia Perduta/Romagna Teatri
www.accademiaperduta.it
TOURNÉE 3 e 4 dicembre: Teatro Comunale Walter Chiari di Cervia (RA);
6 e 7 dicembre: Teatro Due di Parma;
8 e 9 dicembre: Teatro Sociale di Bellinzona;
10 e 11 dicembre: Teatro Civico di La Spezia;
dal 13 al 18 dicembre: Teatro Gobetti di Torino
L’avvenimento scaligero dell’anno: il “Boris Godunov”. Il 7 dicembre in diretta su RAI1 e su Radio3. E in tre continenti
MILANO, martedì 22 novembre – La Stagione 2022/2023 del Teatro alla Scala si apre con il capolavoro di Modest Musorgskij, “Boris Godunov”. Diretto da Riccardo Chailly con la regia di Kasper Holten. Protagonista Ildar Abdrazakov. Nuova produzione Teatro alla Scala. Rai Cultura trasmetterà la Prima in diretta su Rai1.
In scena il cosiddetto Ur-Boris, la versione voluta dall’autore prima delle modifiche imposte dalla committenza.
Intanto la città si prepara all’importante avvenimento inaugurale con le iniziative di Prima Diffusa: sessanta appuntamenti di mostre, rassegne e guide d’ascolto, dal 1° all’11 dicembre. Il Comune di Milano, insieme a Edison e RAI, porta in tutta la città l’opera che inaugura la stagione del Teatro alla Scala.
Cuore dell’iniziativa sarà, come sempre, il 7 dicembre, giorno in cui la Prima va in scena sul palcoscenico della Scala.
Grazie a Prima Diffusa, la diretta dell’evento sarà proiettata in 32 sedi nei nove municipi, dai teatri alle carceri, dalle biblioteche ai musei, dagli aeroporti ai centri di accoglienza, e in tre spazi nell’area metropolitana.
Saranno 10mila i posti disponibili nelle 35 sedi di proiezione, confermando Prima Diffusa un grande progetto di inclusione culturale sul territorio e nei luoghi dove la cultura spesso fatica ad arrivare, come le case di accoglienza e le carceri. Torna quest’anno anche il grande schermo all’Ottagono, sospeso nelle precedenti edizioni a causa della pandemia, che riporta la manifestazione al suo assetto originario.
Le proiezioni del 7 dicembre, con inizio alle 18 in contemporanea con il Teatro alla Scala, sono rese possibili dalla collaborazione con Teatro alla Scala e Rai, che cura le riprese e la diffusione in diretta su Rai 1 e via satellite. È possibile seguire la serata anche su Radio3 e Raiplay. Sono numerosi gli accordi con le televisioni internazionali, cui si aggiungono oltre 60 cinema in tre continenti.
Tra i tanti luoghi dove sarà possibile assistere alla Prima, il Teatro della Casa di Reclusione Milano Opera, il Teatro Puntozero Beccaria presso l’Istituto Penale per minorenni Cesare Beccaria e la Casa Circondariale San Vittore; ma anche la Casa dell’Accoglienza ‘Enzo Jannacci’, il liceo Virgilio, la casa per minori non accompagnati Oklahoma, la biblioteca di Baggio, Medicinema presso l’Ospedale Niguarda e, ancora, l’Aeroporto di Malpensa, il MUDEC, WOW Spazio Fumetto, Made in Corvetto, Mare Culturale Urbano, il Teatro Carcano, il Teatro Civico Roberto De Silva di Rho.
In alcune sedi le proiezioni saranno precedute alle 16.30 da una guida all’ascolto a cura dell’Accademia Teatro alla Scala: attraverso un linguaggio accessibile e coinvolgente, musicologi e narratori specializzati aiuteranno il pubblico a conoscere e comprendere l’opera di Musorgskij.
Giovedì 1° dicembre alle ore 18 la Sala della Balla del Castello Sforzesco ospiterà l’evento inaugurale di Prima Diffusa 2022, con il musicologo Fabio Sartorelli che illustrerà trama e personaggi di Boris Godunov e, grazie all’interpretazione musicale affidata agli allievi dell’Accademia Teatro alla Scala, guiderà il pubblico alla comprensione del contesto storico, sociale e culturale del periodo in cui Musorgskij compose l’opera.
Tanti in programma gli incontri di approfondimento. Si comincia il 30 novembre (in anteprima) e il 1° dicembre alle 21 allo Spazio Teatro No’hma Teresa Pomodoro con due serate tra spettacolo, musica e letteratura, con ospiti e performance.
E poi ancora il 2 dicembre con incontri al Liceo Virgilio, alla Biblioteca Sormani, a Magazzino Musica MaMu, al Teatro Civico di Rho.
Nel fine settimana del 3 e 4 dicembre il Teatro Edi/Barrio’s e BASE Milano organizzano laboratori e attività speciali dedicate ai bambini.
Si prosegue il 5 e il 6 dicembre con appuntamenti al PACTA dei Teatri, all’Auditorium OttavaNota, a Medicinema, alla Porta di Milano – Aeroporto Malpensa Terminal 1, al Teatro Edi/Barrio’s e al Conservatorio ‘Giuseppe Verdi’ di Milano.
Nel programma di Prima Diffusa anche alcune mostre: dal 1° al 7 dicembre al Conservatorio di Musica ‘Giuseppe Verdi’ “Verso L’ur-Boris”, piccola esposizione documentaria su Musorgskij, il Gruppo dei Cinque e, naturalmente, il Boris Godunov; dal 3 dicembre all’8 gennaio, WOW Spazio Fumetto espone le tavole di Nicola Genzianella, che ha realizzato la versione a fumetti di tre opere liriche e realizzerà sei tavole dedicate a Boris Godunov.
Dal 6 all’11 dicembre, infine, Cineteca Milano MIC – Museo Interattivo del Cinema propone la rassegna cinematografica “Gli Occhi del Potere e della Perfidia”, che riporta il pubblico al fasto dell’epoca degli Zar attraverso pellicole che hanno fatto la storia del cinema.
La diretta in Ottagono – Galleria Vittorio Emanuele II, è realizzata grazie al contributo del Teatro alla Scala e dei propri partner ufficiali.
Tutte le proiezioni e le performance sono a ingresso libero, per alcune sedi è richiesta la prenotazione. Gli appuntamenti potrebbero subire variazioni di date e orario, consultare il sito web per gli aggiornamenti.
Una campagna outdoor, web e social realizzata dalla Direzione Comunicazione del Comune di Milano promuoverà l’iniziativa in città dal 28 novembre al 5 dicembre.
LE DATE DEL BORIS GODUNOV ALLA SCALA
Domenica 4 dicembre 2022, h 18:00 – Anteprima Under30
Mercoledì 7 dicembre 2022, h 18:00 – Serata inaugurale
Sabato 10 dicembre 2022, h 20:00 – Turno Prime
Martedì 13 dicembre 2022, h 20:00 – Turno A
Venerdì 16 dicembre 2022, h 20:00 – Turno B
Martedì 20 dicembre 2022, h 20:00 – Turno C
Venerdì 23 dicembre 2022, h 20:00 – Turno D
Giovedì 29 dicembre 2022, h 20:00 – Fuori abbonamento