L’avvenimento scaligero dell’anno: il “Boris Godunov”. Il 7 dicembre in diretta su RAI1 e su Radio3. E in tre continenti

MILANO, martedì 22 novembre La Stagione 2022/2023 del Teatro alla Scala si apre con il capolavoro di Modest Musorgskij, “Boris Godunov”. Diretto da Riccardo Chailly con la regia di Kasper Holten. Protagonista Ildar Abdrazakov. Nuova produzione Teatro alla Scala. Rai Cultura trasmetterà la Prima in diretta su Rai1.
In scena il cosiddetto Ur-Boris, la versione voluta dall’autore prima delle modifiche imposte dalla committenza.
Intanto la città si prepara all’importante avvenimento inaugurale con le iniziative di Prima Diffusa: sessanta appuntamenti di mostre, rassegne e guide d’ascolto, dal 1° all’11 dicembre.  Il Comune di Milano, insieme a Edison e RAI, porta in tutta la città l’opera che inaugura la stagione del Teatro alla Scala.
Cuore dell’iniziativa sarà, come sempre, il 7 dicembre, giorno in cui la Prima va in scena sul palcoscenico della Scala.
Grazie a Prima Diffusa, la diretta dell’evento sarà proiettata in 32 sedi nei nove municipi, dai teatri alle carceri, dalle biblioteche ai musei, dagli aeroporti ai centri di accoglienza, e in tre spazi nell’area metropolitana.
Saranno 10mila i posti disponibili nelle 35 sedi di proiezione, confermando Prima Diffusa un grande progetto di inclusione culturale sul territorio e nei luoghi dove la cultura spesso fatica ad arrivare, come le case di accoglienza e le carceri. Torna quest’anno anche il grande schermo all’Ottagono, sospeso nelle precedenti edizioni a causa della pandemia, che riporta la manifestazione al suo assetto originario.
Le proiezioni del 7 dicembre, con inizio alle 18 in contemporanea con il Teatro alla Scala, sono rese possibili dalla collaborazione con Teatro alla Scala e Rai, che cura le riprese e la diffusione in diretta su Rai 1 e via satellite. È possibile seguire la serata anche su Radio3 e Raiplay. Sono numerosi gli accordi con le televisioni internazionali, cui si aggiungono oltre 60 cinema in tre continenti.
Tra i tanti luoghi dove sarà possibile assistere alla Prima, il Teatro della Casa di Reclusione Milano Opera, il Teatro Puntozero Beccaria presso l’Istituto Penale per minorenni Cesare Beccaria e la Casa Circondariale San Vittore; ma anche la Casa dell’Accoglienza ‘Enzo Jannacci’, il liceo Virgilio, la casa per minori non accompagnati Oklahoma, la biblioteca di Baggio, Medicinema presso l’Ospedale Niguarda e, ancora, l’Aeroporto di Malpensa, il MUDEC, WOW Spazio Fumetto, Made in Corvetto, Mare Culturale Urbano, il Teatro Carcano, il Teatro Civico Roberto De Silva di Rho.
In alcune sedi le proiezioni saranno precedute alle 16.30 da una guida all’ascolto a cura dell’Accademia Teatro alla Scala: attraverso un linguaggio accessibile e coinvolgente, musicologi e narratori specializzati aiuteranno il pubblico a conoscere e comprendere l’opera di Musorgskij.
Giovedì 1° dicembre alle ore 18 la Sala della Balla del Castello Sforzesco ospiterà l’evento inaugurale di Prima Diffusa 2022, con il musicologo Fabio Sartorelli che illustrerà trama e personaggi di Boris Godunov e, grazie all’interpretazione musicale affidata agli allievi dell’Accademia Teatro alla Scala, guiderà il pubblico alla comprensione del contesto storico, sociale e culturale del periodo in cui Musorgskij compose l’opera.
Tanti in programma gli incontri di approfondimento. Si comincia il 30 novembre (in anteprima) e il 1° dicembre alle 21 allo Spazio Teatro No’hma Teresa Pomodoro con due serate tra spettacolo, musica e letteratura, con ospiti e performance.
E poi ancora il 2 dicembre con incontri al Liceo Virgilio, alla Biblioteca Sormani, a Magazzino Musica MaMu, al Teatro Civico di Rho.
Nel fine settimana del 3 e 4 dicembre il Teatro Edi/Barrio’s e BASE Milano organizzano laboratori e attività speciali dedicate ai bambini.
Si prosegue il 5 e il 6 dicembre con appuntamenti al PACTA dei Teatri, all’Auditorium OttavaNota, a Medicinema, alla Porta di Milano – Aeroporto Malpensa Terminal 1, al Teatro Edi/Barrio’s e al Conservatorio ‘Giuseppe Verdi’ di Milano.
Nel programma di Prima Diffusa anche alcune mostre: dal 1° al 7 dicembre al Conservatorio di Musica ‘Giuseppe Verdi’ “Verso L’ur-Boris”, piccola esposizione documentaria su Musorgskij, il Gruppo dei Cinque e, naturalmente, il Boris Godunov; dal 3 dicembre all’8 gennaio, WOW Spazio Fumetto espone le tavole di Nicola Genzianella, che ha realizzato la versione a fumetti di tre opere liriche e realizzerà sei tavole dedicate a Boris Godunov.
Dal 6 all’11 dicembre, infine, Cineteca Milano MIC – Museo Interattivo del Cinema propone la rassegna cinematografica “Gli Occhi del Potere e della Perfidia”, che riporta il pubblico al fasto dell’epoca degli Zar attraverso pellicole che hanno fatto la storia del cinema.
La diretta in Ottagono – Galleria Vittorio Emanuele II, è realizzata grazie al contributo del Teatro alla Scala e dei propri partner ufficiali.
Tutte le proiezioni e le performance sono a ingresso libero, per alcune sedi è richiesta la prenotazione. Gli appuntamenti potrebbero subire variazioni di date e orario, consultare il sito web per gli aggiornamenti.

Una campagna outdoor, web e social realizzata dalla Direzione Comunicazione del Comune di Milano promuoverà l’iniziativa in città dal 28 novembre al 5 dicembre.

LE DATE DEL BORIS GODUNOV ALLA SCALA
Domenica 4 dicembre 2022, h 18:00 – Anteprima Under30
Mercoledì 7 dicembre 2022, h 18:00 – Serata inaugurale
Sabato 10 dicembre 2022, h 20:00 – Turno Prime
Martedì 13 dicembre 2022, h 20:00 – Turno A
Venerdì 16 dicembre 2022, h 20:00 – Turno B
Martedì 20 dicembre 2022, h 20:00 – Turno C
Venerdì 23 dicembre 2022, h 20:00 – Turno D
Giovedì 29 dicembre 2022, h 20:00 – Fuori abbonamento

“Ernani”, la quinta forsennata opera del giovane “Bepìn”. Ma lo struggente ultimo atto è la zampata del genio

Francesco Meli nei panni del bandito Ernani (foto M. Monasta)

FIRENZE, venerdì 11 novembre (di Carla Maria Casanova) – “Ernani”, il bandito verdiano, è sbarcato al Teatro del Maggio fiorentino, sala Zubin Mehta, dopo quasi 60 anni di assenza (1965). Io mi vanto di aver assistito alla precedente epocale edizione fiorentina (1957), il cui cast faceva così: Mario del Monaco, Ettore Bastianini, Boris Christoff, Anita Cerquetti. Direttore Dimitri Mitropoulos. Di quell’evento storico (allora era normale; basti dire che dal 1955 la Scala ogni stagione aveva in cartellone quattro opere con protagonista Maria Callas…) di quell’Ernani, dicevo, ricordo persino il mio vestito, quando non saprei dire cos’avevo indosso ieri. Era una domenica pomeriggio e c’era il sole. Al termine della recita andai ai camerini degli artisti ma – fatto significativo considerando i lì presenti miei idoli del Monaco e Bastianini – feci la fila davanti al camerino di Mitropoulos, per l’emozione di potergli stringere la mano. Ricordo un uomo amabile e cordiale. Sgranava meccanicamente il grande rosario orientale. Quattro anni dopo mi sarebbe toccato vederlo stramazzare dal podio, durante una prova del concerto alla Scala: forse uno dei momenti più angosciosi della mia vita.
O rimembranze.
Torno all’Ernani di ieri sera. Niente paragoni per carità.
Dettaglio ameno: la spiritosa Maria Josè Siri (Elvira), presenza costante al Maggio e nei grandi teatri internazionali, si è presentata alla conferenza stampa in tacchi a spillo e vestita come una bambola ucraina. In scena è meno stravagante, con indosso un sia pur vistoso costume bianco ottocentesco (costumista Silvia Aymonino). Senza velleità interpretative, la Siri ha usato correttamente la sua voce sicura di “donna forte”, come lei ama definire indistintamente tutti i suoi personaggi. Elvira, protagonista femminile, donna particolarmente forte non è. Amata da ben tre pretendenti, finisce per non averne nessuno, ma non per colpa sua. L’amato Ernani (lui sì uomo forte tutto d’un pezzo) si elimina da sé per prestar fede a uno sconsiderato giuramento d’onore stipulato con il rivale Silva e lei, ma la storia non lo dice, magari finirà proprio nell’“aborrito amplesso” del suo designato sposo Silva, il pretendente più probabile, visto che il terzo è Don Carlo re di Spagna, e la Storia bisogna pure rispettarla.
Francesco Meli (Ernani) genovese, è il tenore italiano più acclamato del momento. Iniziato giovanissimo al canto, festeggia i suoi 20 anni di carriera, di cui 18 di collaborazione con la Scala dove ha interpretato ben 20 ruoli. Ha, a suo attivo, molti Ernani. Meli è persona garbata e cantante pregevole, con repertorio soprattutto verdiano. Difetto: non stravolge e ben sappiamo quanto nella lirica bisogni stravolgere per essere proprio qualcuno. Ma vediamo di non lamentarci, con i tempi che corrono.
Roberto Frontali (don Carlo, re) baritono collaudatissimo in campo internazionale, possiede un curriculum da far girare la testa. Ma ieri sera non era nei suoi giorni migliori.
Infine il basso ucraino Vitalij Kowaljow (de Silva) che, nonostante quella faccia da ragazzo, si aggira sui 50. Ha interpretato oltre 40 ruoli in gran parte verdiani e wagneriani (è stato Wotan alla Scala nella Walkiria inaugurale del 2011). Il suo nome (forse un tantino ostica la pronuncia) incomincia a girare veramente adesso. Possiede un timbro bronzeo sontuoso, il più gradevole da ascoltare, nel cast di questo Ernani.
Sul podio c’è James Conlon (New York, 1950) che abborda Ernani per la prima volta, nonostante gli oltre 500 titoli verdiani diretti. Il Maestro fu scoperto dalla Callas durante una prova del master da lei tenuto alla Julliard School. Disse la Divina “questo ragazzo è da tenere d’occhio. Molto preparato”. E per lui fu il lancio. Dopo il debutto con la NY Philarmonic (1974), ha diretto le più grandi orchestre Internazionali. Dal 2016 al 2020 è stato direttore principale dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai di Torino. Insignito di 4 lauree honoris causa, della Legion d’onore (2002) e dal 2018 Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Conlon è un signore minuto ma con impavida grinta, a giudicare dal ritmo serrato che ha impresso all’Orchestra del Maggio per questo titolo verdiano non di largo consumo. Sembra scritta per soddisfare un pubblico smanioso di pezzi a effetto: arie, assieme, cori – Mercè diletti amici (Ernani), Surta è la notte (Elvira), Oh dei verd’anni miei (Carlo), Infelice e tuo credevi (Silva), Si ridesti il Leon di Castiglia (Coro): tutte pagine entrate nel repertorio popolare. Nell’800, infatti, il suo bel successo l’ottenne. Poi però…
Adesso, diciamocelo: Ernani (dal dramma di Victor Hugo), non è una bella opera. L’azione è rapidissima, nessuna situazione di stasi. Con questa cavalcata mozzafiato (nel senso che non ti lascia respirare) di note, acuti, cabalette, è pane per i denti dei detrattori verdiani che in lui vedono il vessillifero del zumpapa. Il Coro, diretto da Lorenzo Fratini, e tutti quanti, si sono spolmonati con vigore. C’era per caso un innalzamento di suono, in sala?
Ma il Verdi di Ernani (sua quinta opera) era ancora giovane. E la zampata del genio arriva nel quarto (ultimo) atto – La Maschera-. È atto breve, tutto centrato sul terzetto Ernani/Elvira/de Silva. Qui, inattesa, insperata, si snoda una melodia struggente: il suono lontano della festa di nozze, il duetto d’amore, il fatale risuonare del corno e l’apparizione di Silva, poi la morte di Ernani chiudono l’opera con un equilibrio magistrale, quello che ritroveremo appunto nel grande Verdi.
I tre interpreti di ieri sera coinvolti in quest’atto – Meli, Siri, Kowaljow – come entrati in un’altra dimensione, si sono rivelati perfetti e soggioganti. Basta urli tonitruanti: un cantare soft e appassionato, proprio un piacere ascoltarli.
Lo spettacolo scenico è stato affidato al regista Leo Muscato e alla scenografa Federica Parolini (che a Firenze ha firmato la trilogia verdiana, con la regìa di Francesco Micheli).
Muscato (laurea in lettere e filosofia alla Sapienza di Roma) ha scelto “lo spirito rivoluzionario e anche un po’ barricadiero del coro” per puntare su “giovani cospiratori che cercano di boicottare il re di Spagna e giurano di esser pronti a morire per salvare la patria”. Quindi Ernani non più bandito ma giovane patriota, bravo ragazzo anche se un po’ testa calda. L’epoca è spostata dal Cinquecento originale all’Ottocento. Vedi i moti insurrezionali spagnoli del 1820, che furono miccia per rivolte in altri Paesi europei, di cui il nostro Risorgimento.
Il palcoscenico della sala Mehta avendo scarsa profondità, l’idea di Muscato/Parolini è stata di un sipario-parete che si apre in tre quinte spostate via via per creare gli spazi necessari.
Qualche incongruenza registica, come quando alla chiamata di Carlo: “miei fidi cavalieri”, irrompe in scena una turba di donzelle. Ma si è visto ben altro. Qui l’insieme funziona.
Lo spettacolo, tre ore esatte, con sopratitoli italiani e inglesi, ha ottenuto applausi intensi anche a scena aperta, costumanza raramente praticata a Firenze (merito degli amorevoli incitamenti di Pereira?) Alla fine, ovazione per Meli. Si replica: 15 e 18 novembre ore 20; 13 e 20 novembre ore 15,30.

Cartellone 2022/’23 dell’Accademia romagnola: 31 titoli. Il repertorio contemporaneo “protetto” da una “rete” di 4 teatri

ROMAGNA TEATRO, venerdì 21 ottobre ► (di Andrea Bisicchia) – Dicono che chi fa teatro lo fa per passione, non è vero, perché chiunque scelga una attività impegnativa, la fa sempre con passione, però bisogna capire fino a che punto la passione diventi competenza e professionalità.
Ruggero Sintoni e Claudio Casadio che, negli ultimi anni, hanno ricevuto molteplici riconoscimenti e che vivono il teatro con passione e professionalità, con la capacità anche, di meravigliare, hanno presentato la Seconda Stagione di “TEATRI D’INVERNO” che ha la sua sede presso “Il Piccolo” di Forli, che era stata la prima “casa” di Accademia Perduta.
In che cosa consiste la meraviglia? Nell’ avere individuato e scelto trentuno spettacoli di teatro contemporaneo, con un cartellone che si caratterizza per aver dato spazio a ben nove debutti, col compito di esplorare linguaggi, format, idee, frutto della creatività delle nuove generazioni.
Accademia Perduta diventa, così, lo specchio, abbastanza singolare, di due anime produttive, quella che riguarda Il TEATRO RAGAZZI e quella attenta a ciò che accade sulla scena contemporanea, in particolare, sui temi centrali del nostro vivere quotidiano.
L’avvio di Stagione dei TEATRI D’INVERNO è affidata a “IL TERZO REICH” (2-3 dicembre) di Romeo Castellucci, uno spettacolo costruito sulla rappresentazione “spettrale” di una serie infinita di sostantivi che vengono proiettati uno a uno, come a indicare il trattamento che viene riservato alla parola sotto il suo aspetto quantitativo.
Seguirà “Adam Mazur e le intolleranze sentimentali”, del Collettivo Lacorsa che porta in scena la storia di uno scrittore che vuol chiudere col proprio passato e liberarsi di tutti quei legami che, per lui, sono diventati intolleranti.
Stivalaccio Teatro presenta “Don Chisciotte”, tragicommedia dell’Arte, essendo la storia di due Comici della Compagnia dei Gelosi che, condannati a morte, grazie al loro estro di saltimbanchi, fanno di tutto per procrastinare l’esecuzione.
Alessandro Albertin è il protagonista di “Perlasca il coraggio di dire no”, sulla figura, ormai leggendaria di colui che ha salvato migliaia di ebrei, pur vivendo una vita normalissima.
Il tema della bomba atomica, oggi così attuale, è portato in scena da Roberto Mercadini, con lo spettacolo “Little Boy, storia incredibile e vera della bomba atomica”, a cui, negli anni Sessanta/Settanta erano stati dedicati due spettacoli al Piccolo Teatro di Milano: “Sul caso Oppenheimer” di Kipphardt e “Duecentomila e uno” di Salvato Cappelli.
La scelta di Nunzia Antonino e Marco Gossi è stata indirizzata verso una grande stilista del primo Novecento: Elsa Schiaparelli, tanto che il titolo del loro spettacolo è “Schiaparelli Life “che ha per protagonista una donna che è stata collaboratrice di Daly, Ray, Cocteau, e che ha vestito Greta Garbo, Marlene Dietrich etc.
Filippo Nigro con “Every brillant thing” propone, sulla scena, una lista delle cose per cui vale la pena vivere, mentre “Il delirio che si fa sogno” è l’argomento dello spettacolo proposto dal Teatro delle Albe/Luigi Dadina, che è anche autore e regista di “Mille anni o giù di lì”, storia di un uomo che scopre, dentro di sé, un nomadismo che lo conduce ad attraversare una dimensione profonda della sua esistenza, mosso da parole che hanno a che fare con la poesia.
TEATRI D’INVERNO si conclude a maggio con “Spettacolo divertentissimo che non finisce assolutamente con un suicidio” di Lido Guenzi che ne è anche interprete, la cui trama rimanda alla vita di tante persone che consiste nel sopravvivere lasciandosi dietro tanta miseria.
Gli spettacoli elencati sono delle novità che, però, Accademia Perduta non abbandona a loro stessi, avendo creato una RETE per proteggerli, inserendoli in una programmazione fatta solo di testi contemporanei, portati in scena da notissimi attrici e attori, si va da Valeria Solarino a Elisabetta Pozzi, Marisa Laurito, Ascanio Celestini, Valerio Binasco, Silvio Orlando, Claudio Casadio, Cochi Ponzoni etc.
La RETE è formata, oltre che dal Piccolo e dal Teatro Diego Fabbri di Forlì, anche dal Teatro Masini di Faenza e dal Teatro Goldoni di Bagnacavallo, la cui programmazione sta già registrando gli esauriti, per quanto riguarda gli abbonamenti.
Intanto la Stagione Ufficiale inizia stasera venerdì 21 al Teatro Masini di Faenza, con “Servo di scena”, protagonisti Geppy Gleijeses, Maurizio Micheli e Lucia Poli, che rimarrà in cartellone fino a domenica 23.

Mai stato a Firenze un simile trionfo. Cecilia Bartoli col raffreddore? Macché. Pubblico scatenato per quattro ore

FIRENZE, mercoledì 19 ottobre ► (di Carla Maria Casanova)
Un successo così Firenze se lo sognava da tempi remoti. Pereira stesso era inquieto, ansioso. Alcina di Haendel, chi la conosce? Quattro ore di spettacolo. E la regìa di Michieletto, che è sempre un terno al lotto. E l’azzardo di aver tentato per la protagonista (storico cavallo di battaglia della inarrivabile Joan Sutherland) il mezzosoprano Cecilia Bartoli la quale, va bene che è diventata donna di grande potere, direttrice artistica del Festival di Pentecoste di Salisburgo, ma non canta più da tempo ruoli così impegnativi (tanto meno in un registro vocale come questo) ed ha anche a suo attivo parecchie rinunce dell’ultimo momento, come puntualmente stava per verificarsi ieri sera, con Pereira che è dovuto presentarsi al pubblico prima dell’inizio con il microfono in mano “Cecilia Bartoli…” cosa cui ci aveva tanto abituati la sublime Montserrat Caballè. Qui il seguito del comunicato è stato meno tragico: “Cecilia ha preso il raffreddore, ma forte com’è riuscirà a vincere la sua battaglia… se la incoraggiate con il vostro calore…” Forse è stato proprio questo annuncio a decretare l’atmosfera della serata, subito iniziata con un applauso fragoroso, ripetuto con forza per ogni aria di ognuno dei cantanti. Mai sentito a Firenze. Sarà anche stata la claque – come insinuano certe malelingue – (la Bartoli conta con sostanziosa compagine di fans scatenati) comunque ha funzionato senza isterismi. E bisogna dire che tutti gli interpreti sono stati sontuosi, l’unica un po’ in défaillance proprio la Bartoli (specie nel primo atto) ma con il raffreddore come si può giudicare? Applaudiamo per incoraggiare. E già al secondo atto e poi al terzo anche la Bartoli, in forza della sua strepitosa tecnica vocale, ha dato prova di eccellenza.

Alcina, monumento del repertorio musicale barocco, è apparsa sulle scene a Londra nel 1735. È opera ariostesca (procede dall’Orlando furioso) di incantamenti e di magie. Non per niente Alcina, trasforma i suoi amanti (non in porci come usava la sua collega Circe, ma in bestie feroci). Però succede che anche un suo amante da lei molti amato, le fa le corna. Dopo moltissime complicazioni messe in atto da vari personaggi, tutti rientrano nel dovuto e trovano persino modo di infrangere il potere della Maga, rendono aspetto umano agli uomini da lei irretiti suoi e se ne vanno lasciandola sola e disperata. (Finalmente, una volta tanto!).

Ora, i miei due lettori (spero qualcuno di più) sanno che sono una fervida sostenitrice di Damiano Michieletto fin dal suo primo apparire a Pesaro (2007 se non erro). Qui Michieletto è come sempre intelligente, ha soluzioni teatrali prestigiose: la piattaforma girevole con pareti in plexiglass con cui divide gli spazi consentendo la visibilità di entrambi; le scene nere con gli specchi riflettenti; gli amanti succubi delle arti di Alcina impersonati da una folla miserevole di uomini seminudi che vaga in secondo piano, come in un girone dantesco; lo specchio infranto che vanifica la magìa e, nel finale, gli infiniti frammenti di specchio che  calano dall’alto mentre Alcina, oramai larva umana, perde i capelli a ciocche e rimane calva. E tanti altri momenti. Però troppi, da scervellarsi per poterli decifrare. Michieletto cede alla ridda di idee, intuizioni, rischi di cui è sempre stato ricco e li mette tutti in scena. E poi quella mania oramai dilagante di usare dei liquidi (di solito rosso sangue) da spargere sul proprio corpo, sulle mani, sulle vesti. Una schifezza assoluta. Infine, negli amplessi amorosi, mette troppi uomini a torso nudo (molto più sexy fare l’amore con la camicia) allorché gli uomini, e soprattutto i cantanti, a torso nudo, difficilmente sono un bel vedere. Ma passi. Il vero problema è la magìa. Che non c’è. Questa Alcina è totalmente priva di magìa. So benissimo che parlare dei colleghi è quanto mai irritante però quel prodigioso Rinaldo (sempre Haendel) di Pierluigi Pizzi, lo ricordate? E anche Carsen, per moderno che sia, la magìa l’ha sempre ottenuta. Dunque è possibile riprodurla in scena, anche al giorno d’oggi.

E adesso la musica. Innanzi tutto in buca ci sono Le Musiciens du Prince-Monaco, ensemble nato nella primavera 2016 all’Opéra di Montecarlo per iniziativa di Cecilia Bartoli che ne è anche la direttrice artistica. Li dirige il milanese Gianluca Capuano, dal 2019 direttore musicale, esperto nella direzione della musica antica, fondatore nel 2006 del Canto di Orfeo, ensemble dedicato ai capolavori del barocco europeo. Per Alcina, una esecuzione da manuale. Strumenti antichi, estrema accuratezza stilistica, direzione gioiosa sono il pregio numero uno di questo spettacolo.

Gli interpreti, diciamo pure favolosi. Lasciando da parte per un attimo Cecilia Bartoli con il raffreddore, si passa a Carlo Vistoli (Ruggiero) molto aitante controtenore tra i più apprezzati in campo internazionale e con un importante spessore vocale. Qui è passato da una spettacolare baldanza (“Bramo di trionfar”) a una delicatezza incantevole (“Verdi prati”).  Lucia Martìn Cortòn (Morgana) studi di canto e violino, ha voce squillante manifestatasi sicurissima nel registro acuto (“Tornami a vagheggiar”); Kristina Hammarström (Bradamante), mezzosoprano svedese, che nella storia è donna facente finta di essere uomo, assolve perfettamente i due ruoli, con grande stile ed espressività; Petr Nekoranec (Oronte) tenore cecoslovacco è elegante e con solida tessitura solida; Riccardo Novaro, baritono specializzato in Mozart e Rossini, si distingue nella pur piccola parte di Melisso. Quanto a Oberto, parte di solito affidata a un sopranino di primo pelo, qui è addirittura un piccolo bambino, solista del Wiltener Sängerknaben di Innsbruck, e canta con sicurezza. Uno di quei talenti precoci che, trecento anni fa, sarebbe stato vittima della truce pratica della castrazione.

E arriviamo –torniamo- a Cecilia Bartoli, figlia di insegnante di canto, si è specializzata nel repertorio antico ed ha bruciato le tappe esibendosi subito nei grandi teatri di tutto il mondo. Si dedica alla ricerca di opere sconosciute, vedi il repertorio di Vivaldi. Ha inciso un numero impressionante di dischi e album. Il suo particolare canto, senza concessione alcuna agli abbellimenti, incontra molto nel mondo dei giovani. La padronanza della voce, e della scena, le permettono di affrontare ruoli impegnativi anche non in condizioni fisiche ottimali, come è successo con questa Alcina dove, in arie come “Di cor mio” o “Ah Ruggiero crudel” ha raggiunto un notevole impatto.

Le scene, con largo uso di proiezioni, sono di Paolo Fantin, i costumi di Agostino Cavalca (per Alcina, in anonimo abitino nero, si poteva trovare una foggia che indicasse meglio il personaggio). Le luci di Alessandro Carletti. Le coreografie di Thomas Wilhelm. Lo spettacolo è dato con sopratitoli in italiano e inglese.

Alla fine un trionfo. Spettatori plaudenti in piedi. Mancava poco che urlassero. Pereira sarà contento.

FIRENZE, Teatro del maggio Musicale Fiorentino, sala Mehta. Repliche: giovedi 20, lunedi 24, mercoledi 26 ottobre ore 19, sabato 22 ore 18.