MILANO, domenica 16 ottobre ► (di Carla Maria Casanova) – Ieri sera, alla Scala, “Fedora”, di Umberto Giordano, libretto di Colautti, tratto dal dramma di Victorien Sardou (il quale dramma è un giallo). E a un giallo si è ispirato Mario Martone nel mettere in scena l’opera, la terza di Giordano – dopo Andrea Chenier e La cena delle beffe-, di cui cura la regia alla Scala insieme con la scenografa Margherita Palli e la costumista Ursula Patza, sue collaboratrici storiche.
Alla Scala “Fedora” arrivò nel 1932, dopo aver debuttato a Milano già nel 1898, ma al Teatro Lirico, più ardito nell’affrontare un delicato tema poliziesco e spionistico. Si tratta di una cronaca sconvolgente per l’epoca: il terrorismo e l’assassinio dello Zar Alessandro II, avvenuto nel marzo 1881. Parigi non se ne fece un problema e la rappresentò addirittura un anno dopo, registrando 135 recite che ebbero un forte impatto sulla cultura e sulla vita sociale del tempo. (Il personaggio protagonista era stato tagliato su misura per Sarah Bernhardt, interprete travolgente).
La Scala, in seguito, recuperò Fedora con edizioni storiche, dirette via via da De Sabata, Marinuzzi, Gavazzeni il quale ultimo, nel 1956, ebbe per protagonisti Callas e Corelli. Il carisma e la bellezza di quella coppia non potranno mai più essere eguagliati (lasciate dire a me che le vidi tutte: prova generale più sei recite).
L’attuale produzione scaligera era stata progettata già nel 2019. Martone era andato a San Pietroburgo a parlarne con Gergiev. Poi il Covid. Ora Martone si era domandato se non fosse il caso di rivedere l’intera impostazione, dopo tutto quel trambusto esistenziale generato dalla pandemia. Risolse che Fedora era di per sé una concatenazione di eventi negativi, quasi il gioco di un dio maligno. Concretizzò dunque l’idea di riferirsi a Magritte, pittore del mistero e del silenzio, passato dal surrealismo alla immobilità e incomunicabilità. Non per niente i suoi Amanti hanno entrambi il volto coperto da un velo. Così nell’atto secondo viene riprodotta pari pari la celebre casa de L’impero delle luci, con un doppio piano interno/esterno per la scena del concerto di pianoforte durante il drammatico duetto tra Loris e Fedora. E compaiono ovunque le tristi figure degli sbirri. Va tutto bene. Le scene di Margherita Palli sono belle. Però se Martone è voluto sfuggire di proposito allo “stretto naturalismo imposto dal libretto” è anche sfuggito all’ambiente romantico, malinconico eppur passionale di questa opera, che non è affatto “brutta, senza slanci, momenti magici”, come dichiarano i detrattori. È, al contrario, un’opera piena di fremiti, palpiti, incanti. Gli spettatori abbastanza vecchi (felix senectus!) per aver visto la Fedora del ‘ 56, ricorderanno. Martone, classe 1959, non ha questa fortuna. La sua sigla artistica è quella del teatro di azione, intelligente e colto, ma la “malinconia” di cui parla non c’è. La originale atmosfera era ancora presente nella precedente edizione scaligera del 1993 (ripresa nel 96 e nel 2004), regia di Lamberto Puggelli, scene e costumi di Luisa Spinatelli.
Passiamo agli interpreti: la bulgara Sonya Yoncheva ha timbro vocale che tende al metallico, non sempre gradevolissimo. Poi, d’accordo, oggi anche le aristocratiche non son più quelle di cinquant’anni fa, ma questa scosciata principessa Romazoff può essere tutt’al più una commessa arrampicatasi nella scala sociale (chiaramente è una scelta della regìa). Roberto Alagna, pur conservando la classe del grande, ha voce arrochita. Disperatamente sfuocato (volevo dire cannato) il celebre Amor ti vieta. Nel secondo atto Alagna ha ripreso forza. Forse è un suo handicap: deve scaldarsi la voce. Alla Scala lasciò il teatro durante l’Aida, per aver avuto problemi con Celeste Aida, l’aria di sortita del tenore (a voce fredda). Ma insomma un cantante questo impiccio non se lo può permettere. Il duetto finale con il soprano molto bene. Anche per la Yoncheva. Gli altri sono secondari: Serena Gamberoni (Olga) è sopranino vivace ma esile. La giovanissima Cecilia Menegatti (piccolo Savoiardo), allieva solista del Coro di Voci Bianche dell’Accademia, è ancora acerba. Assai bene George Petean (De Siriex): bel timbro baritonale e dizione perfetta. Sul podio c’è Marco Armiliato, debuttante alla Scala. Collaboratore stabile del Metropolitan di N.Y., Direttore musicale del Festival dell’Arena dal 2022, ha accumulato lunga esperienza accompagnando grandi cantanti. Anche con l’orchestra scaligera ha stabilito presto un buon rapporto, evidenziato nell’intermezzo a sipario chiuso, quando l’orchestra. è protagonista assoluta.
Siccome la Fedora è quello che è (avvincente, a parer mio) molto bene strutturata e riserva un finale drammaticissimo con Fedora che muore tra le braccia dell’amato Loris, e loro due (Yoncheva/ Alagna) si sono comportati da straziati amanti come di dovere, il pubblico è scattato alla fine in un vigoroso applauso. È spettacolo breve: due ore e 30 minuti circa.
- (importante!) Stamattina, su Rai 5, mi sono rivista lo storico Trovatore del 1957. Ettore Bastianini, Leyla Gencer, Mario del Monaco, Fedora Barbieri, direttore Fernando Previtali. In play back tra l’altro nemmeno sincronizzato bene. Spettacolo che pare una comica. Però, signori, le voci! L’opera è questa. Si può rinverdire lo spettacolo. Tanti ci sono riusciti, a cominciare da Visconti. Ma a stravolgerlo non è più melodramma. Come voler ambientare Assassinio sull’Orient Express sullo Shinkansen Tokyo-Osaka. O vestire da Barbie le Marionette. Allora tanto vale dare l’opera in forma di concerto. Poi, siamo sempre lì: e le voci??? Questo Trovatore sarà ritrasmesso su Rai 5 sabato 22 ottobre alle ore 10.30. Accendete il televisore!
Teatro alla Scala. “Fedora” di Umberto Giordano. Repliche: Martedì 18 ottobre, Venerdì 21, Lunedì 24; Giovedì 27 ore 20; Domenica 30 ore 14.30; Giovedì 3 novembre ore 20.