“Falstaff”, un’opera che più femminista non si può. Donne, vincenti e allegre. Uomini, rincretiniti o gabbati. Un successo

FIRENZE, sabato 20 novembre ► (di Carla Maria Casanova) – “Tutto nel mondo è burla” avvertono tutti insieme gli interpreti dal palcoscenico, per la seconda volta (nel senso che hanno bissato il finale a furor di popolo). Burla? Tempismo? Irrisione? Tragica realtà?
Il pubblico esce dal mega Teatro del Maggio e dai mega schermi, installati fuori dalla attigua Leopolda, Matteo Renzi declama con convinzione le sue ennesime verità. Burla? Tempismo? Irrisione? Tragica realtà?
Torniamo al verdiano “Falstaff, che ha inaugurato la stagione lirica 2020-21, con successo strepitoso.
Adesso mi tocca fare una confessione vergognosa: ebbene sì, ad attirarmi all’opera lirica, mio indistruttibile atavico amore, oggi è soprattutto l’allestimento. Eccezion fatta per alcuni titoli, direttori o interpreti rimasti irrinunciabili. Falstaff non si trova tra questi. Io prediligo il barocco o il grande melodramma (amore-o-morte). Inoltre, andare a teatro, specie ad eventi musicali, con la mascherina, è una schifezza. Non riesco nemmeno ad ascoltare bene. Sono state alcune immagini di questo spettacolo, viste in anteprima, che mi hanno conquistata. Qualcosa di gioioso per gli occhi.
Bei costumi, belle scene. Nessuna psicologica ricostruzione penalizzante.
Così è.
Julian Crouch, scenografo, ha creato un grande impianto sobrio ben articolato, che muta a vista, riuscendo a trasformare con naturalezza e verosimiglianza la taverna della Giarrettiera nel parco di Windsor (ultima scena “fatata” difficilissima da realizzare).
Kevin Pollard, costumista, ha disegnato per i protagonisti una serie di abiti vivaci e colorati, mentre folletti e diavoli silvestri sono personaggi di spericolata bucolica fantasia.
È invece rimasto agli anni ’50 il regista Sven-Eric Bechtolf, imponendo allo staff una sorta di danza artificiosa da “bella statuina” piuttosto stucchevole.
Falstaff”, si sa, è l’ultima opera di Verdi. L’opera degli addii, che lui stesso, ottantenne, era consapevole di scrivere come ultima. La inseguiva da quarant’anni: un’opera comica. Comica, poi, non è nemmeno tanto. Dipende da come la si legge e la si interpreta. Verdi, shakespeariano convinto, l’ha ripresa dalla commedia “Le allegre comari di Windsor”. È una storia femminista che più non si può. Vincenti, allegre e spiritose sono infatti le quattro “comari” (Alice, Meg, Nannetta, Quickly) mentre di tutti gli uomini non se ne salva uno. Da Falstaff, non un attempato nostalgico ex donnaiolo ma un vecchio beone rincretinito e gaglioffo che si dà da fare per sedurre alcune dame da cui farsi mantenere; ai due suoi servitori Bardolfo e Pistola, ladri, che lo tradiscono facendo il doppio gioco con Ford; a Ford, marito geloso gabbato dal suo stesso gioco e padre-padrone che trama per maritare la figlia Nannetta al suo amico Cajus, vecchio imbelle; a Fenton, sbiadito innamorato di Nannetta. Insomma, la categoria non ci guadagna.
Poi c’è Verdi che ne fa un capolavoro, ma questa è un’altra storia.
Come hanno qui assunto i loro ruoli, gli interpreti? Di tutti, mi sembra di poterne citare tre di valore: nel cast femminile Sara Mingardo (Quickly), con il suo ineccepibile apporto vocale, ha anche evitato la stucchevole versione di macchietta (beh, la “Reverenza” di Fedora Barbieri ha fatto epoca, ma meglio non imitarla); nel versante maschile c’è Simone Piazzola (Ford) dal bellissimo importante timbro baritonale. Ha cantato il celebre monologo “È sogno” con intelligenza magistrale, con tutta la carica appassionata e drammatica del marito (lui di non eccezionale intelligenza) che si crede tradito. Infine Falstaff, protagonista. Nicola Alaimo (palermitano, nipote di Simone) è cantante e artista scenico di primo piano, oramai forte di fulgida carriera internazionale. Se c’è un appunto, per quel che riguarda Falstaff, è di essere (Alaimo) giovane. Ricordo che nel 1997 al concorso Giuseppe di Stefano di Trapani, gli assegnammo un premio speciale quale concorrente più giovane: aveva 18 anni. E giovane Alaimo è ancora. Per un personaggio come il “vecchio John” una voce un po’ rotta, affaticata, va bene, anzi meglio. La bella voce di Nicola, sicurissima, svetta con uno slancio persino troppo eroico. Comunque straordinario nei passaggi e nelle intenzioni. Mai un versaccio. Una volgarità. Anche la corpulenza va bene, però occhio alla bilancia.
Quanto alla resa musicale di tutto lo spettacolo, la massima autorevolezza viene dal podio, sul quale sta ritto sir John Eliot Gardiner, grande direttore britannico (ha sposato Isabella, la nipote di De Sabata). Mi è parso, Gardiner, puntare in questa esecuzione soprattutto sul gioco dei colori della variopinta partitura e privilegiare la ricerca dell’umanità che caratterizza i diversi personaggi. Il pubblico deve averlo captato, per avere ricompensato (lui l’Orchestra e il Coro del Maggio e gli interpreti) con una ovazione così spontanea.
O forse l’ostinato entusiasmo è dovuto anche alla (fugace? illusoria? momentanea?) liberazione dall’incubo della pandemia. O al recupero della (fugace? illusoria? momentanea?) recuperata normalità.
C’erano però molti vuoti in sala e un pubblico piuttosto raffazzonato, non esattamente come ci si aspetterebbe ad una inaugurazione.

“FALSTAFF”, di Giuseppe Verdi, Commedia lirica in tre atti di Arrigo Boito. Maestro concertatore e direttore Sir John Eliot Gardiner. Regia Sven-Eric Bechtolf. Scene Julian Crouch. Costumi Kevin Pollard. Con Nicola Alaimo (Sir John Falstaff), Simone Piazzola (Ford, marito di Alice), Matthew Swensen (Fenton), Christian Collia (Dr. Cajus), Antonio Garés (Bardolfo, seguace di Falstaff), Gianluca Buratto (Pistola, seguace di Falstaff), Ailyn Pérez (Mrs. Alice Ford), Francesca Boncompagni (Nannetta, figlia di Alice e Ford), Sara Mingardo (Mrs. Quickly), Caterina Piva (Mrs. Meg Page). Coro e Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino – Maestro del Coro Lorenzo Fratini – Repliche: novembre: 21 (ore 15,30), novembre 23, 30, dicembre 3 (ore 20); dicembre 5 ore 17.

Senza il suo pubblico, ma con una gran volontà di esserci, ecco, grazie alla Rai, il Sant’ Ambrogio del Teatro alla Scala

MILANO, mercoledì 25 novembre Con il liberatorio e ottimistico riferimento dantesco “A riveder le stelle”, la Scala avrà il suo Sant’Ambrogio. Non quello tradizionale. Ma una grande Serata di musica e danza,  nonostante la chiusura dei teatri e il perdurare dell’emergenza sanitaria. Un Sant’Ambrogio scaligero grazie alla collaborazione con Rai Cultura, che la trasmetterà su Rai 1, Radio 3 e Raiplay a partire dalle ore 17.
Il 7 dicembre ventiquattro tra le più grandi voci del nostro tempo saranno a Milano per testimoniare la loro vicinanza a un teatro che più di altri è stato colpito dalla pandemia.
Direttore Musicale M° Riccardo Chailly, regista Davide Livermore.
Oltre ai cantanti e ai ballerini, ai professori d’orchestra e agli artisti del coro, sarà anche la serata dei tecnici, dei sarti, degli scenografi, di tutti quei lavoratori che dopo la ripresa di settembre, quando la Scala ha presentato un programma di 66 serate di spettacolo fino al 7 dicembre, hanno dovuto sospendere l’attività di fronte alla seconda ondata di coronavirus che ha investito tutto il mondo, e la città di Milano in particolare, portando il contagio anche tra le mura del Piermarini.
In queste settimane ancora drammatiche, sarà una serata di speranza e di determinazione in cui la Scala e la Rai porteranno nelle case degli Italiani (ma anche in Francia e Germania grazie all’accordo con Arte, e in numerosi altri Paesi) il valore dell’opera e della danza attraverso i loro interpreti più alti, ribadendo accanto alla capacità dell’arte di esprimere sentimenti, passioni, bellezza, anche la sua funzione civile.
La serata, incentrata sul repertorio italiano, e su pagine di grandi compositori europei, inizierà da estratti di opere di Giuseppe Verdi per continuare con Gaetano Donizetti, Giacomo Puccini, Georges Bizet, Jules Massenet, Richard Wagner e Gioachino Rossini. Le musiche dei balletti sono di Pëtr Il’ič Čajkovskij, Davide Dileo, Erik Satie e Giuseppe Verdi.
Coreografie di Manuel Legris (che contribuisce alla serata con Verdi Suite, una creazione in omaggio alla musica italiana), Rudolf Nureyev e Massimiliano Volpini.
Le arie d’opera e i momenti di danza saranno collegati e contestualizzati da testi recitati da attori, a significare la continuità tra le arti già indicata dal titolo che riprende “e quindi uscimmo a riveder le stelle”, il celebre verso con cui si chiude l’Inferno della Divina Commedia, nel settecentesimo anniversario della scomparsa di Dante Alighieri.
Saranno presenti i cantanti Ildar Abdrazakov, Roberto Alagna, Carlos Álvarez, Piotr Beczala, Benjamin Bernheim, Eleonora Buratto, Marianne Crebassa, Plácido Domingo, Rosa Feola, Juan Diego Flórez, Elīna Garanča, Vittorio Grigolo, Jonas Kaufmann, Aleksandra Kurzak, Francesco Meli, Camilla Nylund, Kristine Opolais, Lisette Oropesa, George Petean, Marina Rebeka, Luca Salsi, Andreas Schager, Ludovic Tézier, Sonya Yoncheva. Tutti artisti che hanno collaborato in passato con il Teatro alla Scala e in molti casi ne hanno fatto la loro casa musicale partecipando a diverse produzioni.
Nella parte dedicata al balletto, diretta da Michele Gamba, saranno protagonisti l’étoile Roberto Bolle, i primi ballerini Timofej Andrijashenko, Martina Arduino, Claudio Coviello, Nicoletta Manni e Virna Toppi e i solisti Marco Agostino e Nicola Del Freo.
L’impianto scenico, che vede protagonista il Teatro con l’Orchestra al centro della platea e artisti collocati non solo in palcoscenico ma collegati dai palchi e in diversi spazi dell’edificio e dei laboratori, è firmato dal regista insieme a Giò Forma, con le scenografie digitali di D-Wok.
La trasmissione su Rai 1, che si avvarrà di dieci telecamere e di un gruppo di registi coordinati da Stefania Grimaldi, sarà presentata per il quinto anno consecutivo da Milly Carlucci, a cui si aggiungerà per la prima volta Bruno Vespa.

www.teatroallascala.org

Pasticci e strafalcioni linguistici. Gli interventi dei lettori

Giorgio Ferrari, in nota alla nostra nuova rubrica, “Fuori la lingua”, ha scritto:
Caro Pap, mi permetto di ripubblicare uno stralcio della mia donchisciottesca battaglia contro la sgrammaticata deriva linguistica che il nostro paese va imboccando. Non mi illudo che serva a granché, ma ci si prova. NON È MAI TROPPO TARDI, terza parte Dopo un faticoso avvio nel quale abbiamo convenuto che «un po’» si scrive con l’apostrofo e non con l’accento, e che «fa», terza persona indicativo presente del verbo fare non si scrive né con l’apostrofo né con l’accento, parliamo ora di «è», terza persona indicativo presente del verbo essere. il tasto compare sulla tastiera di tutti i computer acquistati in Italia, non occorrono sforzi particolari, basta battere «è». Scriverlo con l’apostrofo è un errore di grammatica. Sorvolo sul fatto che ciò s’impara alle scuole elementari. Meditate…
… E Luigina Quaino Di Giusto ha aggiunto:
E vogliamo parlare dell’orribile “piuttosto che” nell’accezione di “anche”? Per esempio: parlando dei monumenti di Berlino da visitare: ” … ci sarebbe la Porta di Brandeburgo, piuttosto che il Reichstag, piuttosto che lo Zoo di Berlino…
Loretta Fusco ha scritto:
Hai ragione. Gli errori o meglio orrori sono all’ordine del giorno perché è morta e sepolta non solo la lingua ma il rispetto che le si deve. I tempi sono cambiati, è vero, crisi e nuove tecnologie hanno modificato l’approccio con questo nostro incommensurabile bene, ma seppur incalzati dalla fretta, dai ritmi, non dovremmo mai dimenticare che anche il testo più interessante e perfetto dal punto di vista contenutistico, deformato da errori, sviste, refusi, finisce per perdere tutto il suo fascino. E se i nuovi strumenti di scrittura, tablet, correttori pensano di venirci incontro intuendo i termini più strampalati, dovremmo porre doppia attenzione proprio per non farci fregare… per un eccesso di fiducia.

Un ringraziamento degli autori di “Farà giorno”

Desideriamo ringraziarLa per la bellissima recensione di “Farà giorno”. E’ un lavoro che abbiamo scritto con sincera devozione per i personaggi e per lo spettatore e che è stato premiato con rara fortuna da un cast eccezionale e da una regia perfetta.
Rosa Menduni e Roberto De Giorgi