C’era una volta la donna angelicata, regina del focolare. Oggi se ne vergognerebbero perfino i baci perugina

collage beatriciMILANO, mercoledì 17 dicembre   
(di Paolo A. Paganini) Nelle veline che avvolgevano i baci perugina si poteva leggere, a proposito delle donne: “Le più preziose qualità della donna non hanno sede nella sua intelligenza, ma negli affetti” (Smiles), oppure, “Il cielo rifiutò il genio alle donne, perché tutta la fiamma si potesse riconcentrare nel cuore” (Rivarola), oppure ancora, “La donna emancipata è la donna che si spoglia delle virtù del proprio sesso…” (Buissard) eccetera.
Che ridere!
La donna angelicata? Benignamente d’umiltà vetusta, venuta in terra a miracol mostrare? Ha un bel dire Dante che “tanto gentile e tanto onesta pare”. Già in terza media s’imparava che quel “pare” non sta per “sembra”, ma per “appare”. Ma proprio da questa variante (sulla quale han sempre ghignato i maschietti) prende spunto lo spettacolo “Le Beatrici”, di Stefano Benni, che, al Teatro Litta, gioca proprio su quel “pare”, ironicamente canzonatorio da parte d’una rivisitata Beatrice dantesca (che poi dà il titolo allo spettacolo, e al relativo libro, di Benni).
Non si starà ad addentrarci in tante elucubrazioni per capire che, qui, lo spettacolo poggia su un radicale rovesciamento di quella donna angelicata, voluta (non per codificate regole, ma secolarmente accettata da tutti, forse ancora vigente) ubbidiente e sottomessa, dedita a piatti, calzini e caminetti, serva e cenerentola, ma pur sempre gratificata dal titolo di regina della casa. E tutti ci credevano. Donne comprese.
Finché (non sono passati tanti anni) la donna non s’è ribellata, rivendicando uguale dignità e uguali diritti. Che ciò sia poi universalmente avvenuto, rischieremo di essere ottusamente avventati. Ma intanto qui, nello spettacolo, in cinque monologhi al femminile, recitati rispettivamente da cinque giovani donne, sembra che la rivoluzione sia già acquisita, quando sappiamo che, poiché se ne parla, non è tanto perché è stata storicizzata, ma perché siamo ancora lontani dal reale riconoscimento dei rivendicati diritti femminili.
Ecco, dunque, esibiti sul palcoscenico, vuoto e disadorno, ma così ricco di umane verità, per sorridere, e talvolta per ridere davvero, cinque rappresentativi tipi di donne, non sempre in positivo, moderne ed emancipate, paradossali ma tanto prossime alla realtà. Come una compagnia di girovaghi, di piazza in piazza, con i loro bagagli scenici in spalla, arrivano sul palcoscenico ad esibire la loro mercanzia di ritratti femminili, confidenti, ammiccanti, a volte con siparietti di gustosissime canzoncine intonate tutte insieme alla Lescano, accompagnate da due incredibili strumentini, una chitarrina giocattolo e un pianofortino di bambini. Un piacevolissimo godimento, per poi passare a più scarnificanti ironici beffardi ritratti.
C’è Gisella Szaniszlò (una Beatrice di carne e sangue, altro che poetici voli danteschi) in gaudiosa compagnia con un’assatanata Suor Filomena (una ben poco mistica Valentina Virando): da far impallidire la Monaca di Monza; e poi ci sono, in queste eterogenee tipologie, Elisa Marinoni (spregiudicata imprenditrice) e l’intensa e, questa volta, seria Valentina Chico, alle prese con l’eterno destino della donna in “Attesa”, e una “mocciosa” Beatrice Pedata.
Un’ora e quindici senza intervallo, che ha avvinghiato l’interesse di un pubblico non solo femminile. La regia, essenziale e senza sbavature, è dello stesso collettivo e di Stefano Benni, accurata nei particolari, ma non nelle voci, disuguali, spesso inarrivabili, espressive ma poco impostate. Meriterebbero un più attento registro. Per il resto, caloroso successo e partecipe simpatia per le cinque interpreti (e per i loro personaggi).

“Le Beatrici”, di Stefano Benni, anche regia con il Collettivo Beatrici. Al Teatro Litta, Corso Magenta 24, Milano – Repliche fino a mercoledì 31 dicembre.

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