(di Andrea Bisicchia) Giuseppe Montanari ha diretto Concerti, Opere in tutta Europa, alla guida di prestigiose Compagnie orchestrali. In Italia ha diretto l’orchestra della Rai di Torino, quella del San Carlo di Napoli, del Comunale di Bologna, del Maggio Musicale Fiorentino con cui ha collaborato stabilmente dal 1974 prima di passare dal 1992, alla Scala, in qualità di Direttore musicale del Palcoscenico, collaborando con Muti, Gavazzeni, Kleiber, Giulini, Sinopoli, Metha. È riuscito a salvare lo storico Grande Organo da Concerto, sempre alla Scala, voluto da Toscanini.
Ha raccolto, in un volume, alcuni suoi scritti: “I Teatri d’Opera”, intrattenendosi sulla vita musicale di questi teatri con l’ausilio dei suoi ricordi e con alcune riflessioni che riguardano “la discesa turbinosa della qualità in ogni campo”, dovuta, in particolare, agli interessi personali dei molti dirigenti, a suo avviso, senza titoli per svolgere un simile lavoro.
Nel teatro d’Opera, in fondo, si verifica quel che accade nel teatro di Prosa dopo la scomparsa dei grandi registi e dopo certe Direzioni che hanno fatto alquanto discutere. Montanari ricorda i lunghi periodi di studio “matto e disperato” necessari prima di arrivare a certi risultati, quando ci si metteva a totale servizio della musica, tanti anni prima dell’imperversare di certi incompetenti. Si è pure chiesto dove sia andato a finire il perfezionismo di Toscanini, la capacità di Von Karajan di far “cantare” gli strumenti, la sapienza musicale di Gavazzeni e di Muti, la forte personalità di Kleiber, ma, soprattutto, dove sia finita l’etica della professione, visto la fretta con cui si preparano i concerti o le Opere liriche, con i professori d’orchestra che svolgono, contemporaneamente, svariati lavori, tralasciando lo studio scrupoloso delle partiture.
Montanari è consapevole che, nell’epoca della tecnologia avanzata, sia stato alquanto semplice stravolgere il lavoro di una volta. Per questo motivo, si rammarica per la semplicità con cui si arriva a conquistare la celebrità, grazie, proprio a quelle tecnologie sofisticate che hanno permesso di raggiungere dei risultati che hanno poco in comune con la stessa professione di cantante.
Non è diverso il rammarico che si prova dinanzi a spettacoli di prosa altamente tecnologici, dove gli attori diventano semplici ingranaggi della messinscena.
Montanari, nei suoi scritti, ci parla di Toscanini, “un vero innovatore e riformatore”; ricorda lo schiaffo subito a Bologna ad opera di alcuni squadristi, per non aver voluto suonare “Giovinezza” all’apertura di un concerto; ci parla di Tullio Serafin, del suo incontro con la Callas, a Verona, in occasione di “La Gioconda” (1947) e della “Norma” (1948), eventi rimasti indelebili nella storia dell’Opera mondiale. E, a proposito di Serafin, ci racconta un episodio poco noto, accaduto dopo la morte del Maestro, non avendo trovato un loculo stabile nel cimitero di Rottanova Cavarzere. Se ne interessò in prima persona e, con l’aiuto di Gavazzeni, riuscì a dargli sepoltura definitiva in una tomba, opera dello scultore Alessandro Caetani.
Gli altri scritti sono dedicati alla Callas, a Pavarotti, di cui ricorda, non solo la grandezza, con quella voce dallo “squillo inimitabile”, ma anche la sua “amabilità” nel rapporto coi macchinisti, coi tecnici, coi coristi. Non mancano i suoi interessi per Francesco Paolo Toschi e, soprattutto, per Carlo Kleiber, di cui ricorda le splendide prove della “Traviata”, con la regia di Franco Zeffirelli.
Il volume è corredato anche da una notevole iconografia.
Giuseppe Montanari, I TEATRI D’OPERA, Edizioni della Meridiana, pp 86, € 10