MILANO, mercoledì 3 aprile ► (di Paolo A. Paganini) È il più ricco e prezioso serbatoio di storia e cultura popolare partenopea: “Lo cunto de li cunti” (1634), di Giambattista Basile (1566-1632). Se ne sono serviti tutti a piene mani, favolieri (Perrault e Grimm in testa), cantastorie, guitti e teatranti successivi a Basile, fino ai più recenti affabulatori di opere teatrali (come Roberto De Simone con “La Gatta Cenerentola, 1976), e poi registi d’animazione e non (come Matteo Garrone, con “Il racconto dei racconti”, premiatissimo film del 2015, e prima ancora Rosi, nel ‘67).
In realtà, “Lo cunto de li cunti”, raccolta di cinquanta fiabe in antico dialetto napoletano, raccontato da dieci novellatrici popolane in cinque giorni (sul modello del Decamerone del Boccaccio), oltre alla piacevole spregiudicatezza, cattiveria e sensualità di molte fiabe raccontate dal Basile, viaggiatore, soldato, marinaio, cortigiano e amministratore, scrittore e poeta, sono anche il più vivido, folgorante, ricco, vitale, stupefacente esempio di letteratura dialettale. Barocca, sì, ma realisticamente scritta da un attento e fedele testimone e “cronista” della lingua partenopea. Con orecchio avido di suoni, onomatopee, espressioni idiomatiche, modi di dire, invettive, licenziosità e proverbi, Basile attinse direttamente le vivide espressioni, tra realtà e fantasia, di popolo e popolino napoletano e campano. E, grazie alle sue peregrinazioni ed esperienze di vita, riuscì a trasformare la materia popolaresca in una geniale creazione artistica, poi depositata nella celeberrima opera, uscita postuma, “Lo Cunto de le Cunti overo Lo Trattenemiento de’ peccerilli”, conosciuta anche come “Pentamerone”, con chiaro riferimento al Decamerone.
Tanto dovevamo per meglio inquadrare, ora, la fiaba che Emma Dante, al Piccolo Teatro Grassi, ha liberamente tratto da una delle più note novelle di “Lo Cunto de li Cunti”, cioè “La scortecata” o, meglio, “La vecchia scortecata”, o meglio ancora “La vecchia scoperta”, “Trattenemiento X De la Jornata I”, che così incipit:
“llo Rrè de Roccaforte se nnammora de la voce de na vecchia: e gabbato da no dire rezocato, la fa dormire cod’ isso; ma addonatose de le rechieppe, la fa jettare pe na fenestra…”
Tutto chiaro? No, ma si capisce che la vecchiaccia ha per una notte infinocchiato il re giovane e bello, il quale accortosi al mattino dell’inganno, la fa gettare dalla finestra. È salvata però da una buona fata, che la tramuta in una giovane e bellissima ragazza, che verrà poi sposata dal re. Ma ciò suscita l’invidia dell’altra sua vecchia sorella, che, per non essere da meno, “pe ffarese bella, se fa scortecare, e mmore”.
E – un’altra curiosità letteraria – tutto si concluderà con la spicciola morale d’un proverbio popolare sull’invidia, così come sarà per tutte le altre novelle, dove, per esempio, si ragionerà su “Chi cerca chello che non è, trova chello che non vuole”, oppure “Ammaro chi a soje spese se castica”. Oppure ancora “Nullo male fu mai senza castico”, e così via, di morale in morale.
Come sarà con “La vecchia scortecata”: “La nmidia, figlio mio, se stessa smafara” (L’invidia, figlio mio, se stessa macera”).
Un’ora di intenso godimento, tra musical-mimo, facezie, e sapidi dialoghi di variettistica memoria (in senso elogiativo), con due napoletani di gergale e scatenata comicità, popolare, assurda ed anche patetica, non sempre linguisticamente chiarissima. Ma Emma Dante l’ha resa di facile comprensione, qua e là italianizzandola, o aiutandola con una ricca e piacevole espressività gestuale, volgare e mimica, con la quale le due vecchie e repellenti sorelle, una di 93 e l’altra di 102 anni, avendo ormai superato il senso del ridicolo grazie all’età, sanno ancora reinventarsi la vita, fregandosene e godendone. Qui, in scena, soprattutto ne godono e si divertono, in una pur faticosa performance, Salvatore D’Onofrio e Carmine Maringola. Rattrappiti e anchilosati nei ruoli delle due vecchie sorelle, hanno il raro dono di riderci su in una assurda metafora gestuale della vecchiaia, sublimando la caricatura da penoso acciacco di scontati stilemi in un’assurda metafisica della vecchiaia.
Un continuo gioco di gag e – perché no? – di poesia.
Pubblico entusiasta e calorosamente plaudente.
“La scortecata”, liberamente tratto da “Lo cunto de li cunti” di Giambattista Basile. Testo e regia di Emma Dante. Con Salvatore D’Onofrio e Carmine Maringola. Al Piccolo Teatro Grassi (via Rovello 2, Milano). Repliche fino a domenica 14 aprile.
Informazioni e prenotazioni 0242411889.
www.piccoloteatro.org