Ci sarà sempre qualcosa d’ignoto e di incompiuto nella conoscenza. Ma grazie alla razionalità non è più un enigma

(di Andrea Bisicchia) Che cos’è il sapere? È frutto dello studio? È conseguenza di letture particolari? Insomma, fino a che punto il sapere può essere coniugato col conoscere? Sono alcune riflessioni che mi vengono in mente dopo aver letto il libro di Edgar Morin: “Conoscenza, ignoranza, mistero”, appena pubblicato da Cortina, anche perché l’autore parte da una premessa condivisibile, ovvero che in ogni forma di conoscenza esista qualcosa di non conosciuto e, pertanto, di ignoto che trova, sempre, un cantuccio all’interno di ciò che conosciamo.
Questa categoria dell’ignoto favorisce anche quella del mistero e, pertanto, quella dello stupore e della meraviglia che si provano dinanzi alla complessità della conoscenza, condannata ad essere parziale, oltre che incompiuta.
Dove ricercare, allora, il motivo dell’incompiutezza? Forse nel moltiplicarsi delle conoscenze, tanto che, per aderire alle quali, occorrerebbe un vero e proprio “metodo” che possa renderle complementari e per spiegare la complessità dei saperi. Esistono, quindi, dei limiti nei confronti del conoscere? In che modo l’inconoscibile può essere esplorato attraverso il conoscibile?
E ancora, come si può sondare l’ignoto, che, agli occhi dei comuni mortali, si presenta come enigma? Una volta ci si rivolgeva a Tiresia, a Calcante, agli sciamani, oggi che abbiamo scoperto i limiti della razionalità, così come abbiamo scoperto i postulati sui quali si fondano le dimostrazioni, a chi rivolgerci? La risposta potrebbe apparire pleonastica, dovremmo consultare la scienza, così come una volta si consultavano gli oracoli?
La scienza, a sua volta, sarebbe capace di spiegare il mistero dell’inconoscibile e di avvicinarsi il più possibile al mistero? Questo è il compito che si propone Morin: “Pattugliare ai confini della conoscenza per apprendere e sentire l’inseparabilità di conoscenza, ignoranza e mistero”.
Un simile percorso, l’autore lo condensa in otto capitoli nei quali i risultati del sapere scientifico vengono messi a confronto con quelli della creatività vivente, ovvero di una creatività che si manifesta nel corso della riproduzione e che si realizza attraverso associazioni e combinazioni, o magari attraverso l’arte della metamorfosi che ci permette di conoscere sempre meglio la vita e di concepire la coscienza come un mezzo per prendere consapevolezza dell’ignoto.
Chi può aprire le porte dell’ignoto e dell’immaginazione? Forse gli stregoni o gli sciamani redivivi, le cui pratiche permetterebbero di comunicare con gli spiriti, utilizzando gli stati di trance e di veggenza? Oppure è responsabilità degli artisti, degli scrittori, definiti “post sciamani”, ai quali spetterebbe il compito di creare realtà immaginarie, per accedere all’ignoto che c’è in noi? E che dire dell’arte dell’attore che comporta anche’essa una fonte d’ispirazione post-sciamanica o sottosciamanica, visto che anche l’attore vive lo stato di possessione o di trance durante le interpretazioni?

Edgar Morin, “Conoscenza, ignoranza, mistero”, Cortina Editore 2018, pp 148, € 13.