Ciascuno ha i propri gusti. Questione di convenienza o di cultura? O, come il piacere, riguarda solo i nostri sensi?

(di Andrea Bisicchia) Il gusto è un fatto personale o sociale? È un metodo di vita? Una forma di potere? Certe società, certe persone sono diverse, le une dalle altre, perché i loro gusti si differenziano nel pensare, nel vestire, nel mangiare, nell’amare. Esiste una estetica del gusto a cui si può accedere con metodologie diverse. Galvano della Volpe (“Critica del gusto”, Feltrinelli 1972) fece ricorso alla estetica materialistico-storica, Pierre Bourdieu (“La distinzione. Critica sociale del gusto”, Il Mulino, 1979), utilizzò l’estetica sociologica, Gillo Dorfles (“Le oscillazioni del gusto”, Einaudi, 1970) attinse alla metodologia linguistico-strutturale, indirizzata a decifrare le molte oscurità dell’arte contemporanea.
Emanuele Arielli in “Farsi piacere. La costruzione del gusto”, fa ricorso alla interconnessione tra comunicazione, estetica e processi cognitivi, applicando il gusto ai nostri comportamenti, alla nostra cultura, ai nostri desideri. La prima domanda che viene in mente è: “Cosa vuol dire farsi piacere?” Ha qualcosa di edonistico, di autoreferenziale, di narcisistico? L’autore, che è docente di estetica, si chiede e ci chiede se si possano controllare o modificare i nostri gusti, dato che viviamo nell’epoca della libertà gustativa, tanto che, ciò che non ci piace, subito viene accantonato per andare in cerca di ciò che possa soddisfare il gusto del momento, come a indicarne una sua provvisorietà.
In verità, siamo soliti contrabbandare il nostro gusto con quello degli altri. Se sottostiamo, per esempio, al processo mimetico, ben teorizzato da Girard, secondo il quale, desideriamo quello che appartiene a un altro, ne avvertiamo la carica competitiva. Accade, a volte, che mettiamo il nostro gusto al servizio di qualcosa che ci disgusta, e ciò lo si fa per far piacere al datore di lavoro, all’amico, alla persona amata, come dire che il gusto può non appartenere all’identità di ciascuno di noi, non essendo un fatto privato.
Gusto vuol dire desiderare, dare preferenza a qualcosa, proprio perché ha a che fare con i nostri canali sensoriali. Sono, infatti, i nostri sensi a farci desiderare una persona piuttosto che un’altra, una brutta piuttosto che una bella, una grassa piuttosto che una magra. Esistono anche dei gusti che appartengono al nostro snobismo intellettuale che consistono nel rimanere affascinati da musiche atonali incomprensibili o da spettacoli incredibilmente poveri di idee. In questi casi, non è chiaro se il gusto sia genuino o semplicemente esibito, tanto che Arielli mette a confronto una serie di strategie che alimentano la trasformazione del gusto.
Il volume è suddiviso in otto intensi capitoli, attraverso i quali l’autore cerca di dimostrare come sia possibile sovvertire i gusti, come decidere ciò che ci piace o che desideriamo, differenziando i gusti autentici da quelli che non lo sono, magari ricorrendo alle finzioni o a pure strategie che possono coinvolgere il nostro modo di pensare e quello di fingere.
L’ultimo capitolo è dedicato all’uomo senza preferenze, il solo, come l’uomo senza qualità, in grado di manovrare i desideri e di controllarli, che è anche una maniera di mantenersi libero e di cambiare i gusti quanto vuole.

Emanuele Arielli, “Farsi piacere. La costruzione del gusto”, Cortina Editore 2016, pp 170, € 13.