(di Marisa Marzelli) “Tutti pazzi per i dinosauri”, i micidiali lucertoloni sono tornati. Dopo il romanzo fantascientifico di Michael Crichton (1990) era arrivato il primo film di Steven Spielberg, Jurassic Park (1993), un punto di svolta, agli inizi delle meraviglie cinematografiche in Computer Grafica; poi due sequel meno entusiasmanti. Tra il terzo e questo quarto capitolo della saga l’attesa è durata 14 anni. Ma è come se fossero tornati gli anni gloriosi del migliore Spielberg. Quelli in cui il regista girava i film che avrebbe voluto vedere al cinema. “Giocattoloni” di ottima perizia tecnica, con trame destinate al pubblico delle famiglie ma con un’anima. È vero, Jurassic World non l’ha diretto il padre di E.T. – che aveva firmato i primi due episodi, lasciando il terzo nelle mani di Joe Johnston – ma qui (nel ruolo di produttore esecutivo) è facile riconoscere il suo spirito più fantasioso e giocoso, con una morale ecologista; un’allerta verso i troppo disinvolti entusiasmi per un’ingegneria genetica volta a forzare la natura, che ci mette un niente per ribellarsi al controllo umano. All’inizio, al di là del plot, più che un nuovo Jurassic Park l’impostazione ricorda Lo squalo, con la speculazione turistica e il pericolo incombente sugli ignari bagnanti.
Andiamo con ordine, per i nostalgici dei vecchi Jurassic Park (i quali riconosceranno citazioni e omaggi, oltre a un canovaccio di fondo molto simile) e gli spettatori più giovani che non li conoscono. A Isla Nublar, il Jurassic 2.0 è diventato un gigantesco parco a tema, luogo di divertimento per sciami di turisti a cui far sgranare gli occhi e aprire il portafoglio. Ma gli incassi sono in calo e per mantenere l’attenzione del pubblico c’è una nuova spettacolare attrazione: l’Indominus Rex, un gigantesco, feroce ibrido geneticamente modificato. Tenuto separato da altri esemplari, come i Velociraptor, che un addetto agli animali (Chris Pratt) sta cercando di addomesticare, ma che fanno gola al cattivo della situazione (Vincent D’Onofrio) speranzoso di poterli utilizzare in futuro per scopi bellici, magari per sostituirli ai droni. Il parco, gestito come una centrale della NASA, è diretto da un’indaffaratissima manager in carriera (Bryce Dallas Howard, figlia del regista Ron Howard), alla quale vengono affidati dalla sorella due nipoti di 11 e 16 anni, dei quali lei non ha tempo né voglia di occuparsi, lasciandoli scorrazzare da soli tra le attrazioni. Succede però che l’Indominus Rex forzi il recinto e in men che non si dica l’intero parco è fuori controllo. Turisti in pericolo e spaventati da evacuare, nipoti dispersi, Velociraptor utilizzati per la caccia al mostro. Il resto è un continuo giro sulle montagne russe del pericolo e della suspence, con una trama facile da seguire ma efficace, dove si trovano i cliché che ci si aspetta, confezionati bene. Bryce Dallas Howard e Chris Pratt recupereranno i nipoti della donna, costituendo un simbolico nucleo famigliare, e risolveranno vari problemi più generali.
La parte effetti speciali è di prim’ordine, lo scenario adatto ai colpi di scena. Con attenzione ai caratteri dei personaggi e dosi di bonario umorismo. C’è spazio anche per un’inattesa citazione da Gli uccelli di Hitchcock.
Rispetto ai più recenti blockbuster di supereroi e fantascienza distopica, un modo di far cinema narrativamente più piano, tradizionale e – diciamocelo – anche più vicino all’immaginario degli spettatori, dove non prevale la sarabanda di ipertrofici effetti visivi e sonori, a discapito della comprensione di ciò che sta accadendo, dove e a chi. Il franchise della saga Jurassic Park si rimette in moto dal “dove eravamo rimasti” aggiornato agli umori odierni e avanza di conseguenza.
In cabina di regia c’è il 38.enne Colin Trevorrow, al debutto nel mare magnum di un kolossal da 150 milioni di dollari e con all’attivo solo il film indipendente Safety Not Guaranteed (premiato al Sundance Festival nel 2012). Ma si capisce che Spielberg ha vigilato sull’allievo e le direttive appartengono al suo stile più classico, senza contare che in questo genere di produzioni ogni reparto tecnico impiega i migliori specialisti per ricreare un mondo autonomo e in 3D, con differenti tipi di dinosauri, grandi, più piccoli, volanti, marini. Quanto agli interpreti, Chris Pratt (rivelato al grande pubblico dal successo di Guardiani della galassia) ha le caratteristiche di simpatia, energia, determinazione, autoironia, prestanza ed età (35 anni) per candidarsi a diventare il nuovo e ringiovanito Indiana Jones. Già se ne parla.
Come ai tempi del migliore Spielberg, son tornati i micidiali lucertoloni. Un avvincente kolossal (da 150 milioni di dollari!)
11 Giugno 2015 by