MILANO, sabato 12 dicembre ► (di Paolo A. Paganini) Su un giornale veronese, per il quale lavoravo, più di mezzo secolo fa, scrissi la recensione di “Caro bugiardo”. Era l’aprile del 1961. Mi prodigai in una spatasciata esibizionistica che solo i miei giovani anni potevano giustificare. Ma c’era anche da dire che si trattava d’un avvenimento straordinario, eccezionale. In due, davanti al rispettivo leggio, Paolo Stoppa e Rina Morelli lessero l’epistolario che George Bernard Shaw e Mrs. Patrick Campbell si scambiarono dal 1899 al 1940 (riduzione drammaturgica di Jérome Kilty). Fu un successo incredibile, inaudito, imprevedibile.
L’allestimento di “Caro bugiardo” fu avventuroso.
La compagnia Stoppa-Morelli veniva dall’incredibile soppressione dell’“Arialda” di Giovanni Testori, alla fine del 1960, da parte dei professionisti della morale di un’ipocrita censura benpensista democristiana, che la giudicarono “una cloaca”. Fu affossata, dopo una sola recita, a Milano, nel febbraio del 1961. Il dramma di Testori, regia di Visconti, con Paolo Stoppa, Rina Morelli, Umberto Orsini, e poi la Morlacchi, la Moriconi, Pupella Maggio, era un violento dramma che si svolgeva nell’ambiente del sottoproletariato della periferia milanese.
Paolo Stoppa e Rina Morelli, dunque, dopo l’intervento della magistratura, ripiegarono, in fretta e furia, su “Caro bugiardo”, che già avevano in mente. E fu il successo che s’è detto.
La vicenda di “Caro bugiardo” m’è venuta in mente per qualche piccola coincidenza, di poco conto, ma sufficiente a farci considerare ora “Lettere d’amore”, anche questo uno spettacolo epistolare a soli due interpreti, Valeria Valeri e Giancarlo Zanetti, recuperato in extremis al posto di un altro non andato in porto.
Le lettere in questione narrano l’incredibile storia d’amore e d’amicizia, di un uomo e di una donna che si amarono tutta la vita, fin dalla seconda elementare. Esclusivamente per lettera. O quasi. Ciascuno fece la propria vita, di studi, di amicizie, di amori, di lavoro, di matrimoni, di figli, assaporandosi l’un l’altro solo in punta di penna, perché poi avevano altro da fare, ma vivendo intensamente, come in una vita parallela, quella loro storia, che era un dono più prezioso che dava un senso all’altra vita, quella pratica, reale, di tutti i giorni. Già rappresentata a Spoleto, l’anno scorso, con Gérard Depardieu e Anouk Aimée, è ora in scena al San Babila con Giancarlo Zanetti e Valeria Valeri.
E qui, dopo aver tirato il can per l’aia, entriamo nel merito della nostra cronaca di teatro. Diciamo subito che s’è trattato d’una serata spiacevole. A causa, non per colpa, dei due protagonisti, non convenientemente e doverosamente assistiti dal teatro stesso, non sappiamo se per caso, per distrazione, per incuria, per capriccio o di che altro mai. Noi ci siamo sempre dichiarati contrari all’uso e abuso dei microfoni da parte degli attori. Ma, se occorre, è inutile fare gli schizzinosi. È un aiuto, una protesi, una stampella, un “tutor” insomma, che serve a se stessi e agli altri. È anche una questione di rispetto, verso se stessi e verso gli altri. Nel caso specifico, Valeria Valeri, amabile signora del teatro italiano, non più giovanissima, ha una bella, duttile e gentile voce, che arriva però con fatica alla terza fila. Giancarlo Zanetti, che, a sua volta, è un gentiluomo della scena, per non sopraffare l’esile voce della Valeri, si adegua impostando a sua volta il volume a un fievole afflato…
E quindi addio a uno spettacolo bello, ma udibile a metà.
Ma che diavolo, un microfono direzionale, un paio di microfoni sui tavoli dov’erano sistemati i leggii, o uno di quelli da epidermide brufolosa sulla guancia… In somma, quando ci vuole ci vuole. Anche perché, diciamolo, questi scambi epistolari d’un amore, complice ed ingenuo, durato tutta una vita, costruito con abile sapienza da A.R. Gurney avrebbe meritato un più nobile e rispettoso trattamento.
Si replica – speriamo con i microfoni – fino a domenica 20.
“Lettere d’amore”, di A. R. Gurney, con Valeria Valeri e Giancarlo Zanetti. Al Teatro San Babila, Corso Venezia 2/A, Milano.