Come una buccia di banana può diventare un’imprevedibile lezione di teatro. Marthaler inaugura la 43ma Biennale di Teatro

collage marthalerVENEZIA, venerdì 31 luglio  ●
(di Paolo A. Paganini) Si può dire di uno spettacolo partendo da una buccia di banana? Trattandosi di Christoph Marthaler, “blasfemo” scardinatore svizzero di ogni logica teatrale, sì, si può cominciare anche da una buccia di banana.
Una buccia di banana, classica gag della comicità, da Stanlio e Ollio in poi, vuol dire mettere incautamente un piede sopra la buccia – cosa che tutti si aspettano – e fare un acrobatico volo aereo per poi precipitare in un tragico devastante, e innocuo, atterraggio. È solo una buffonata, ma funziona sempre. Però Marthaler, sofista controcorrente, irriverente cultore della logica della illogicità (attenzione, qui c’è tutta la filosofia delle sue creazioni registiche), quando ti aspetti che il malcapitato scivoli sulla fatale buccia di banana, fa invece un passo più lungo, la evita, sospiro di sollievo, ma, un altro passo più in là, incespica da solo in un fragoroso e inaspettato capitombolo, che nessuno ormai non si aspetta più. Bene, prendi questa chiave di lettura, e il gioco è fatto: tutto sarà impostato sull’inaspettato.
Qualche altro esempio? Fin da bambini tutti ci siam sentiti dire: pensa prima di parlare. E allora cosa fa Marthaler? Impostato un dialogo, e data come tesi una domanda, l’attesa della risposta da parte dell’interlocutore diventa eterna. Nel frattempo – metti per venti esasperanti minuti e forse più – una nota, martellante come un rintocco, o come la tortura d’una goccia d’acqua, ti mette addosso un prurito d’angoscia, d’insopportabilità. E, finalmente, la risposta arriva. E, beckettianamente, il più delle volte non è quella che ti aspettavi.
Un altro esempio? C’è un personaggio che non parla mai. Pensa. E il pensiero a volte si fa voce, in un monologo che diventa una lunga tiritera di logorroica incomprensibilità…
Già, perché, dimenticavo, lo spettacolo “Das Weisse vom Ei / Una île flottante”, vagamente ispirato a “Il fumo negli occhi” del gran facitore di scarnificanti vaudeville, Eugène Labiche (compare di Marthaler nell’uso del grimaldello contro ipocrisie borghesi e bigotti benpensismi), dicevo lo spettacolo, se non bastasse la logica della illogicità, è in francese e tedesco con sopratitoli in italiano, in un emblematico pasticcio linguistico sull’incomunicabilità.
Infatti, due famiglie, impegnate, da diverse posizioni sociali, a unire in matrimonio un figlio con qualche problemino comportamentale e una figliola che continua a suonare il pianoforte, che qui è un’arpa, ma fa lo stesso, giocano a buttarsi reciprocamente “fumo negli occhi” per apparire più importanti di quanto non siano. Ovviamente non s’intendono. Ma fa lo stesso. Quando riescono a dialogare, il discorso diventa un irresistibile calembour, E quando finalmente sembra che la comprensione diventi una serena agape d’affetti e di serenità, tutto va a puttane. Si siedono in una totale pacificazione, e le sedie si sfondano, i commensali finiscono col sedere per terra, e tutt’intorno il mondo crolla, le suppellettili cadono per terra, i quadri si staccano dalle pareti, e tutto finisce in un’orgia di comicità circense, tra il clown e Charlot, con un pubblico semplicemente entusiasta, con incontenibili, irresistibili scrosci di risate, nello stesso tempo liberatorie, dopo momenti di sonnolente staticità, che ha anch’essa una precisa logica, passando dalla stasi allo scatenamento dell’azione scenica. Ch’è, riconosciamolo, un lungo interminabile e ironico trattato di geniale creatività teatrale, pur nel suo altanelante su e giù, sul piano della dolce follia di Marthaler, inimmaginabile per la nostra compassata cultura teatrale, ma così necessaria a sprovincializzare i canoni di una cultura nazional-teatrale, che è o stantia o in preda alle nevrosi creative di tanti nostrani registi che scambiano l’iconoclastia per genialità.
Lo spettacolo, due ore e mezzo senza intervallo, alle Tese dell’Arsenale veneziano, ha degnamente inaugurato la Biennale Teatro 2015.
La serata s’è conclusa con l’inaspettata bomba d’acqua d’un improvviso temporale sulla Laguna, proprio quando il pubblico stava uscendo. Un altro bel colpo di scena. Diavolo d’un Marthaler.
Onore al merito della felice serata teatrale agli otto interpreti della pièce, tutti bravissimi, da manuale. Almeno li nomineremo, famiglia per famiglia. Per la famiglia Malingear: Marc Bodnar, Carina Braunschimidt, Charlotte Clamens, Raphael Clamer; perla famiglia Batinois: Catriona Guggenbühl, Ueli Jäggi, Graham E. Valentine, Nikola Weisse. Una piccola ma doverosa segnalazione alla bella scena su tre piani prospettici di Anna Viebrock.