MILANO, sabato 3 ottobre ●
(di Paolo A. Paganini) Nel 1887, Cechov aveva 27 anni quando scrisse la “commedia” (poi cambiata in “dramma”), “Ivanov”, nichilistico personaggio tra Kiekegaard, Schopenhauer e Nietzsche (e, toh, mettiamoci anche Leopardi, tutti terroristi del pessimismo), nevrotica espressione di angoscia esistenziale e ipocondria morale, con qualche parentela ibseniana. Poi, per altri dieci anni, Cechov rivide, limò e approfondì il suo amato Ivanov, facendone – da buon medico qual era – un capolavoro clinico della nevrosi, come frutto della noia e del disgusto di sé e degli altri (per Hegel, coscienza infelice fino all’annientamento, che tuttavia Pascal elogiò come nobiltà della nostra natura e miseria della nostra condizione).
Qualche anno dopo arriverà, ancor più esasperatamente, l’Oblomov di Goncarov, l’ultimo mitico calice amaro della “noia russa”.
Questo breve preambolo, che ci ha fatto un po’ deviare dal contesto, serve a rimarcare come l’Ivanov di Cechov sia ora recuperato dal “dramma” alla “commedia”, nell’allestimento che ne ha fatto Filippo Dini nella Sala Grande del milanese Teatro Parenti (che l’inesauribile direttrice Shammah sta sempre più tentacolarmente estendendo fino al sottosuolo della vicina piscina).
Dunque, Dini, che qui è anche straordinario protagonista, ha registicamente condotto la “commedia” di Cechov (due atti di un’ora e venti ciascuno) con veemenza sul piano di un’amara ironia, ma complicata qua e là da qualche stravolgimento di grotteschi seppur comprensibili compiacimenti, fino alla gag, fino alla deformazione in funambolici giochismi di voci e caratteri. Ma con una decina d’interpreti distribuiti in una quindicina di personaggi non avrebbe potuto fare altrimenti. È così riuscito a differenziare la netta cesura tra un personaggio e l’altro sostenuto dallo stesso attore.
Con ciò Dini è pervenuto a due risultati, uno opposto all’altro. Per Cechov, allora, dopo la prima dell’87, gl’interpreti – che non sapevano ancora la parte, ma fu ugualmente un successo – “hanno bevuto e quindi credono di dover fare i pagliacci: un’atmosfera da baraccone e da taverna, che mi fa inorridire”; ma per il pubblico della prima al Parenti, oggi, quella stralunata follia è stata un gioioso divertimento, pur nell’atmosfera generale d’una pietas nei confronti del povero Ivanov, destinato al suicidio finale, nell’angoscia del quale s’immerge più volte lo sbigottimento per il nostro stato di cittadini smarriti, fra scandali, crollo dei valori, mafie capitali, perdita di sicurezze, chiusura alla socialità, in un rifugiarsi in noi stessi per non più ritrovarsi. Come Ivanov, prima del suo melodrammatico suicidio finale, che Dini ha risolto con una delle più belle e struggenti trasfigurazioni di teatro mai viste nei drammi di Cechov, in un parossismo di voci, come una fangosa palude nella quale si smarrì definitivamente l’ultima fiammella di coscienza di Ivanov, dopo che ormai aveva tutto perduto: la moglie, la stima delle genti, la ricchezza, l’ultimo amore che forse l’avrebbe salvato. Non aveva più nulla da perdere, se non la vita stessa. E così sia.
Di Filippo Dini protagonista abbiamo detto, di Dini regista rimane qualche riserva per quegli stessi eccessi che a suo tempo Cechov aveva bollato come pagliacciate. Poco male. Rimane il giudizio complessivo di un allestimento da non perdere, anche per la supremazia di uno staff attoriale di prima grandezza, a cominciare da una sapiente e misurata Sara Bertelà, infelice compagna di Ivanov; e proseguendo con il formidabile duo Orietta Notari (patetica irriducibile usuraia senza pietà) e Gianluca Gobbi, vulcanico, esuberante, stordito e generoso anfitrione, che poco capisce, tra fumi di vodka, ma molto ama, e che spesso strappa la scena ai più sobri compagni, che tuttavia non sono sempre da meno, a cominciare da Nicola Pannelli, il vecchio zio bambino di Ivanov; il duro e impietoso dottore, che ama in segreto la tisica moglie di Ivanov, con ciò spiegando l’inesorabile rancore verso il disamorato marito della infelice; Fulvio Pepe, intelligente, spregiudicato e un po’ filibustiere mezzadro di Ivanov, che, come da titolo, rimane sempre il personaggio centrale pur tentando gli altri di uscire dalla marginalità; e poi Valeria Angelozzi, il piccolo testardo giovane amore di Ivanov, e la sfarfalleggiante Ilaria Falini, che vanamente tenta la scalata sociale sperando di sposare il conte zio di Ivanov.
Grandi e festosi applausi per tutti alla fine. Si replica fino a domenica 11.
Personaggi e interpreti
Nicolaj Ivanov: Filippo Dini ● Anna Petrovna: Sara Bertelà ● Conte Šabel’skij: Nicola Pannelli ● Pavel Lebedev: Gianluca Gobbi ● Zinaida Savišna: Orietta Notari● Saša: Valeria Angelozzi ● Dottore L’vov: Ivan Zerbinati ● Marfa Babakina: Ilaria Falini ●Michail Borkin: Fulvio Pepe.
“Ivanov”, di Anton Cechov, regia Filippo Dini. Teatro Franco Parenti- Milano, via Pier Lombardo 14
Info: 02 5999 5206
www.teatrofrancoparenti.it
Tournée
LUGANO-TEATRO LAC, 17 e 18 OTTOBRE
GENOVA – TEATRO STABILE (CORTE), DAL 20 OTTOBRE ALL’1 NOVEMBRE
ROMA – TEATRO ELISEO, DAL 3 AL 15 NOVEMBRE
VIGNOLA – TEATRO FABBRI, 17 NOVEMBRE
PORDENONE – TEATRO VERDI, 18 e 19 NOVEMBRE
PARMA – TEATRO DUE, 20, 21, 22 NOVEMBRE
IMOLA – TEATRO STIGNANI, DAL 25 AL 29 NOVEMBRE
TRIESTE – TEATRO ROSSETTI, DAL 16 AL 20 DICEMBRE