Con quali intenzioni 12 ufo stanno in stand by intorno alla Terra? Una linguista cerca di mettersi in contatto con loro

(di Marisa Marzelli) C’è una fantascienza popolare, fracassona e spettacolare e ce n’è una più riflessiva, colta, diciamo umanistica, se non filosofica. Alla seconda appartiene Arrival, film del canadese Denis Villeneuve.
Anche se gli entusiasmi suscitati dalla pellicola risultano un tantino eccessivi, si tratta di un’opera d’autore che approccia il tema del contatto dell’umanità con gli extraterrestri da un punto di vista maturo. E innanzitutto evita lo stereotipo degli alieni invasori intenzionati a distruggerci e da cui bisogna ad ogni costo difendersi.
Villeneuve è uno degli astri in ascesa del cinema internazionale, Hollywood punta su di lui. Regista eclettico, si è cimentato con vari generi (da quando fu scoperto con il sorprendente La donna che canta, del 2010, ha dato buone prove in ambiti diversi con Prisonners, Enemy, Sicario) ed è attesissimo il suo sequel del cult di Ridley Scott Blade Runner.
Arrival nasce da uno dei racconti di Storie della tua vita (in italiano da poco pubblicato da Frassinelli) del 50enne Ted Chiang, informatico e scrittore, considerato uno dei nuovi autori di pregio della fantascienza. La sceneggiatura è invece di Eric Heisserer, con una reputazione in ambito horror.
Quando si scoprono dodici ufo alti centinaia di metri, distribuiti su tutti continenti, che galleggiano in stand by a pochi metri da terra, i governi del mondo sono in allarme. Negli Stati Uniti un colonnello (Forrest Whitaker) incaricato di scoprire cosa vogliono gli alieni si rivolge ad una eccellente linguista (Amy Adams) e a un fisico (Jeremy Renner). C’è poco tempo per decidere se scatenare la guerra agli extraterrestri o cercare un contatto pacifico. La scienziata tenta di tradurre e interpretare il loro linguaggio, ma non è facile. Perché gli alieni, rappresentati da due strani polipi (denominati eptopodi, cioè a sette zampe), comunicano schizzando inchiostro dai tentacoli che terminano in una sorta di stella marina, creano forme circolari arabescate e misteriose. La donna è prima intimorita poi affascinata dagli esseri alieni e in una corsa contro il tempo cerca di interpretarne il linguaggio per capirne il pensiero e riuscire a comunicare. Ma mentre sperimenta quest’approccio è anche ossessionata dal proprio doloroso vissuto: la perdita di una figlia amatissima e il fallimento della sua vita di coppia. Intanto i governi mondiali si sono innervositi e vorrebbero attaccare gli ufo.
Questo tipo di film di fantascienza soffre di un difetto congenito: il tentativo di dare ad un racconto fantastico e tutto metaforico un fondamento scientifico. Nel caso specifico ci si rifà alla “teoria della relatività” della linguistica moderna e all’ipotesi che il modo di parlare determini come è strutturato il pensiero. Tentativo piuttosto inutile e ingombrante perché – indipendentemente dal fatto che esista o meno una base scientifica – il concetto di voler prima di tutto comunicare con chi è altro da noi, ignoto e potenzialmente ostile, è di per sé una metafora evidente e comprensibile da tutti.
Con uno stile solenne (e inevitabilmente verboso), alla Terrence Malick, il film di Villeneuve si rivela ottimo nelle composizioni visive, nel montaggio, nella fotografia, nella creazione delle atmosfere e nell’interpretazione della Adams. Cade invece nel tentativo – già segnalato – di ammantare di valore scientifico l’assunto (legando, con qualche forzatura, la scrittura circolare degli alieni al concetto di tempo) e in alcune ingenuità in contrasto con il contesto, per esempio la scelta di chiamare Tom e Jerry i due eptopodi.
Nella scia di opere strutturate in modo simile, come Interstellar di Nolan o Gravity di Cuarón, Arrival (che già aveva ottenuto buona accoglienza all’ultima Mostra di Venezia) non sfugge al sospetto di un certo compiaciuto intellettualismo saputello. E pensare che Spielberg in Incontri ravvicinati del terzo tipo (1977) aveva già detto tutto sulla ricerca della comprensione reciproca e il potere della parola. Però il film sta piacendo al pubblico ed ha già incassato tre volte il suo costo (47 milioni di dollari). Candidato a due Golden Globes, ma rimasto a mani vuote, è ora atteso alla prova delle candidature agli Oscar.