Con un linguaggio giovanile, ammiccando al rap. In un “Sogno” gaudioso di magie. Per rinascere ora alla speranza

LUGANO (CH) ► (di Marisa Marzelli) A Lugano, la sala teatro del LAC, con suoi quasi mille posti, è tornata a respirare, ridere, applaudire, ieri sera, con 14 attori sul palco e una platea affollata per il debutto in prima assoluta dello shakespeariano Sogno di una notte di mezza estate, diretto dal varesino Andrea Chiodi.
Realtà, fantasia, sogno, fiaba, magia, ripartenza, rigenerazione?
Fatto sta che il sipario si è riaperto con un titolo sia evocativo che benaugurante. Il progetto, fedele al testo originale con qualche taglio, nella nuova traduzione di Angela Dematté, privilegia in linguaggio giovanile contemporaneo, ammiccando talvolta al rap. Utilizzandolo coerentemente a seconda delle esigenze dei mondi in scena: la corte di Atene, le coppie che si formano e si disfano dei giovani innamorati, gli artigiani impegnati nelle prove di Piramo e Tisbe. Il tutto confluisce nel bosco delle fate, regno di Oberon e Titania, che si presenta come uno spelacchiato parco per bambini, con una giostrina e uno scivolo, chiuso alle spalle da una sorta di sipario costituito da lunghe striscioline verticali, dove s’impigliano i personaggi entrando e uscendo di scena.
La rilettura di Chiodi vede il Sogno come filtrato attraverso un gioco infantile, capace di trasfigurare la realtà degli adulti. Una bambina-fata biancovestita incornicia tutta l’azione, la osserva e interviene cantando filastrocche, a cominciare da un ripetuto giro, girotondo, mentre il folletto Puck si presenta come una sorta di severa governante d’altri tempi (a parte due cornetti in testa). Quasi tutti i personaggi interpretano almeno due ruoli. Così Igor Horvat è il duca di Atene Teseo e il re delle fate Oberon, mentre Anahì Traversi è la promessa sposa di Teseo e la regina delle fate Titania. Pensandoci un attimo, niente di diverso dai supereroi, che hanno un’identità fantastica e un’altra normale.
Se perde un po’ di centralità il girotondo capriccioso degli innamoramenti giovanili, non così capita agli operai intenti a provare nel bosco Piramo e Tisbe. Si presentano quasi come un’orchestrina, pasticciano e alla fine diventano (con il classico gioco del teatro nel teatro) l’emblema di quanto, in scena, il massimo del finto sia capace di raggiungere vette di verità. Al gruppetto guidato da Bottom è affidata la parte più comica, a tratti decisamente farsesca, dello spettacolo e loro, galvanizzati dal consenso e dalle risate del pubblico, hanno calcato ancora di più sulla comicità, sprezzanti del pericolo di esagerare in troppo zelo goliardico.
Indiscutibile attenzione alle qualità tecniche di questo Sogno. Ben congegnato il reparto suono, rumori e musica; logiche, rispetto alla chiave di lettura proposta, scenografie e costumi, sempre in bilico tra realtà e magia, con una vena di candido assurdo. E va detto che la grande energia sprigionata dalla resa drammaturgica della prima, si è accoppiata alla cura dei dettagli. Uno spettacolo andato in scena senza tentennamenti, come già rodato. Quanto al cast, evidente una certa differenza generazionale tra l’impostazione degli attori più maturi, Igor Horvat e Anahi Traversi, e le gioiose sconsideratezze di quella forza della natura rappresentata dai 12 attori freschi diplomati alla scuola Luca Ronconi del Piccolo Teatro di Milano, caricatissimi, concentrati, inventivi.
Lo spettacolo, prodotto dal LAC, in coproduzione con CTB- Centro Teatrale Bresciano e Centro d’arte contemporanea Teatro Carcano, nelle intenzioni dovrebbe andare in tournée (dipenderà da fattori non teatrali ma sanitari), con la speranza di bissare il successo ottenuto qualche anno fa da una Bisbetica domata en travesti, pure diretta da Andrea Chiodi.