Conclusa la piccola “antologia” di spettacoli di Nathalie Béasse. Breve bilancio prima del debutto delle altre registe

VENEZIA, martedì 1 agosto ► (di Paolo A. Paganini) Primo bilancio parziale. Ma dopo quattro giorni, sembra che la Biennale di Teatro si sia dedicata solo a un’antologia di opere di Nathalie Béasse, ch’è carina e di multiforme ingegno. Ideatrice, regista, scenografa, forse autrice di quasi tutti testi. Ha allestito, all’Arsenale, nell’ordine di calendario: “Le bruit des arbres qui tombent” (produzione recente, 2017), “Roses”, allegoria di sangue, complotti e sete di potere dal Riccardo III di Shakespeare (produzione 2014), “Tout semblait immobile”, storia d’una pseudo conferenza sulla fiaba, che via via diventa un’altra cosa (produzione 2013); e, infine, “Happy Child”, amore e odio, morte e resurrezione di cinque fratelli (?), che si ritrovano dopo una lunga assenza. Morale: meglio sarebbe stato mantenere un buon ricordo (produzione 2008).
Troppo, per un Festival che vuol valorizzare i processi di creatività di tante registe europee. Non c’è solo la Béasse, che diamine, tanto più che è sembrato, tra l’altro, che nessuno la conoscesse. Una buona occasione per conoscerla, dunque, e per alcuni momenti n’è valsa la pena.
Ora, nel programma del Festival veneziano, ne verranno altre, di registe, anche di più consistente presenza scenica, ma nessun’altra avrà quattro serate di spettacoli. Va beh, si dirà, Maria Grazia Cipriani ne avrà tre, ma con spettacoli raggruppati in un’unica serata o intervallati con altre produzioni; e anche Livia Ferracchiati (tre); e Anna-Sophie Mahler (2). Et cetera, fino al 12 agosto. E poi tutti a casa.
Dunque, chiariamo, non è tanto la discutibile calendarizzazione degli spettacoli di Nathalie Béasse che ci turba, quanto la ripetitività dei suoi moduli drammaturgici, che, pur cambiando tema, giocano costantemente, da una parte, con gli stessi argomenti di base: i rapporti umani all’interno della famiglia, le tenerezze, ma soprattutto gli antagonismi, l’insofferenza, la violenza; e poi lo spirito socializzante, unitario, che lega tutta la compagnia, in una solidale presenza, dove tutto avviene a vista, e tutt’insieme, vestirsi, denudarsi, spostare oggetti. E un po’ alla volta, la sorpresa, troppo ripetuta, va a farsi benedire. E ci si ritrova con gli stessi trucchi scenici, con gli stessi tic di presunte invenzioni registiche, che hanno una voglia matta di sorprendere e divertire. E a volte ci riesce.
In un certo senso, si potrebbe affermare che Nathalie Béasse è una prosecutrice e innovatrice della Commedia dell’arte, con i suoi moduli, i suoi lazzi, le sue smargiassate, dove tutto è prevedibile, come una comica di Stanlio e Ollio. Certo, nihil sub sole novi, ma anche una nevrotica sovrabbondanza d’idee può diventare ingombrante, prevedibile e stucchevole, e, infine, controproducente.
Ecco, dunque, i più svariati oggetti, alberi, vestiti, plastiline, sassi eccetera, piovere dall’alto di allestimento in allestimento. Una volta va bene, quattro volte uno dice basta E poi la Béasse è un’adoratrice  dei tempi lunghi, nell’attesa di altre sue epifanie sceniche, che in genere, dopo una tensione drammatica o a fine scena, si risolvono, con ammiccamenti e inspiegabili balletti di squadra, come a voler dire, dopo tanti dissidi e scontri scenici, ecco, siamo di nuovo qui, a volerci bene l’un l’altro, o per dirla alla veneta, “dame un basìn, volemose ben”.
A tutto ciò si aggiungano i travestimenti, gli scambi di genere, il desiderio canzonatorio di guardare ora al musical, ora al cabaret, ora al varietée. E il pubblico va in sollucchero. E ciò è bello e va bene. Ma rimane il dubbio di una immaturità teatrale con una prevalente vocazione a ludici infantilismi.
Pur tuttavia, questa scorpacciata di spettacoli di Nathalie Béasse, è servita a conoscere una regista che, pur con le nostre riserve, rimane un’encomiabile voce fuori dal coro. Inoltre, si avvale di una magnifica presenza attoriale, tutti in possesso d’un vario e consistente bagaglio espressivo, dalla recitazione al canto, al ballo, fino a una baldanza atletica di salti, corse e capitomboli, tra gag che vanno spesso al di là d’un sospetto goliardico, per diventare divertimento allo stato puro. E, in questo, chapeau a Nathalie Béasse.