MILANO, venerdì 22 marzo ► (di Paolo A. Paganini) In un corso di pedagogia e psicologia, ormai disperso nel tempo e quasi dimenticato, un caro Maestro – lui, sì, sempre ricordato – amava dire, con ironica leggerezza: “Non esiste l’educatore perfetto”. Poi, citando Dewey, o Jürgen, o James, o i nostri Gabelli, o Montessori, o Pestalozzi e compagnia bella, aggiungeva: “Ma tutti questi si avvicinano alla perfezione in un comune amore per il sapere”.
Di amore, e di come esprimerlo e comunicarlo, se ne parlò fino agli anni Sessanta.
Poi, la rivoluzione culturale puntò su nuovi perfezionati concetti da idolatrare: il culto della personalità e, soprattutto, “l’Espressione, la Comunicazione, la Socializzazione”, come mitiche e indispensabili cinghie di trasmissione del sapere contemporaneo.
Di amore, nell’insegnamento, non si parlò più. Era cominciato il futuro.
Oggi, c’è il cinquantaquattrenne studioso spagnolo Juan Mayorga, laurea in matematica, dottorato in filosofia e, soprattutto, scrittore e drammaturgo. Alcuni anni d’insegnamento a Madrid gli hanno fornito alcune sicurezze. Ma non l’amore, né la verità. Né le certezze della verità.
Ne fa testo “Il ragazzo dell’ultimo banco”, in scena ora al Piccolo Teatro Studio, con la regia di Jacopo Gassmann (due ore senza intervallo), che vide la luce una prima volta nel 2009 a Genova, nella mess’in scena di sei attori della Scuola dello Stabile genovese. Poi fu un film di successo con la regia di François Ozon nel 2012.
È la storia d’un liceale diciassettenne, Claudio che siede sempre all’ultimo banco, in compagnia dei suoi sogni. Di poche parole, è bravo in matematica, ma, non senza talento, vuol diventare scrittore. Di famiglia disagiata, vive con il padre dopo essere stato abbandonato dalla madre. È amico di un compagno di classe, Rafa, che appartiene a una famiglia piccolo borghese, agiata e nell’apparenza perfetta.
Fin dall’inizio dell’anno scolastico, il professore di lettere, Germàn, è conquistato dall’eccezionale spirito di osservazione del ragazzo, il quale, in un primo tema assegnato alla classe, escogita lo stile del tema a puntate, mettendo la parola “Continua”, fin dal primo tema. Claudio, con il pretesto di aiutare il compagno nella matematica, in cui è scarso, viene accolto dalla benestante famiglia di Rafa. Ne viene sempre più attratto “dall’inconfondibile odore della classe media”. Ne fiuta, di stanza in stanza, le abitudini, i comportamenti, i caratteri, le storie, gli affari. Che poi, di tema in tema, di puntata in puntata, rivela negli elaborati che consegna al professore. Un feuilleton di cui tutti prendono interesse, con atteggiamenti diversi: il professore, che s’intriga a manipolare le doti descrittive del ragazzo per saperne sempre di più, con la scusa di voler fare di lui un vero scrittore, e per fargli “estrarre la bellezza del dolore umano”; una giovane insegnante di estetica del design; e lo stesso Claudio, che si spinge nelle scoperte e nelle rivelazioni sempre più in là, con algoritmica freddezza. Fino all’abisso finale.
Detta così, sembra una storia banale. È invece una pièce che ti prende alla gola, come un thriller psicologico. L’ironia diventa sarcasmo. L’insegnamento diventa manipolazione delle menti. Il sapere si tramuta in freddi schermi di autodifesa, la generosità in esibizione, come quando il professore dichiara: “La grande domanda è Dostoewski o Tolstoi?” E l’amore si trasforma in egoismo. O in crudeltà.
Quell’antico Maestro di Pedagogia soprattutto raccomandava: sostenete sempre l’entusiasmo dei vostri studenti, o ne farete dei perdenti.
Qui, son tutti perdenti. Il pur interessante Autore districandosi negli eccessi della propria dottrina, in un complesso e articolato trattato di estetica della scrittura, assegnando a Germàn, tra l’essere e il sembrare, tra Pirandello e Schnitzler, i caratteri trasandati d’un nevrotico superomismo (ma quant’è bravo Danilo Nigrelli). Il Regista, Jacopo Gassman, in un rituale gioco di distanze, dove diventa ancor più lacerante la solitudine di quest’anime senza amore, e se ne perde la pregnanza in un’ormai disperante abitudine registica di far parlare i protagonisti fra di loro confidenzialmente sottotono. Ma Fabrizio Falco, nel ruolo di Claudio, e Pierluigi Corallo, nella parte di Rafa Padre, sostengono il complesso argomentare di Mayorga in una chiara e rispettosa esposizione.
E, con le dovute riserve acustiche, bella e generosa la prova di tutti gli altri interpreti.
Le nostre riserve non intendono togliere nulla – chiariamolo – a uno spettacolo ambizioso e di grande dignità, che può davvero prestarsi a interessanti disamine e discussioni. Se ne parlerà.
Da non perdersi.
Entusiastici applausi per tutti alla fine.
“Il ragazzo dell’ultimo banco” di Juan Mayorga (traduzione Antonella Caron). Regia Jacopo Gassmann. Con (in ordine di apparizione): Danilo Nigrelli (Germán), Mariángeles Torres (Juana), Fabrizio Falco (Claudio), Alfonso De Vreese (Rafa), Pierluigi Corallo (Rafa Padre), Pia Lanciotti (Ester). Al Piccolo Teatro Studio Melato (Via Rivoli 6 – Milano). Repliche fino a giovedì 18 aprile.
Informazioni e prenotazioni 0242411889
www.piccoloteatro.org