(di Andrea Bisicchia) – La pubblicazione di “LEOPARDI E LA FILOSOFIA” di Remo Bodei (1938-2019), edito da Mimesis, non è un saggio organico, ma la raccolta di una serie di interventi che riguardano alcune Lezioni magistrali, conferenze, pubblicazioni in riviste scientifiche, di indiscusso valore, trattandosi di uno dei maggiori pensatore del nostro tempo.
A dire il vero, fu Emanuele Severino a darci dei veri e propri studi organici su Leopardi con due pubblicazioni edite da Rizzoli, “Il nulla e la poesia. Alla fine dell’età della tecnica: Leopardi” (1990) ed ancora “Cosa arcana e stupenda. L’Occidente e Leopardi” (1997), a cui fa riferimento Bodei quando sostiene che, l’etichetta di nichilista, applicata da Severino a Leopardi, non gli si adatti e che, se proprio la si voglia mantenere, sarebbe meglio sostituirla con “nichilismo attivo”, tesi sostenuta da altri due studiosi di Leopardi filosofo, come Timpanaro e Cassano.
Il volume, curato da Gabriella Giglioni e Gaspare Polizzi, è suddiviso in nove capitoli, nei quali Bodei analizza il perché della fortuna acquisita da Leopardi lungo il Novecento, non solo come grande poeta, ma anche come filosofo. Egli ricorda come il suo interesse per Leopardi sia nato nel 1998, in occasione di un suo intervento sul “Male”, su come fosse stato concepito dal poeta recanatese e in che modo si potesse combattere, per fare questo, sosteneva il poeta, occorrerebbe non accettarlo mai, ma, soprattutto, sarebbe stato necessario che gli uomini, anziché combattersi tra di loro, si “confederassero” per promuovere una guerra comune contro la sofferenza.
Bodei trae simili considerazioni dalla analisi di “Palinodia al marchese Gino Capponi”, tratta dai “Canti” (1831), in cui vengono espresse le idee di Leopardi circa il rapporto tra ragione ed egoismo, tra illusioni necessarie e illusioni sublimi, tra una possibile alleanza tra filosofia e poesia, tra illusione e immaginazione, in quanto se la ragione fosse privata di entrambe, non farebbe altro che ridursi a puro calcolo e a puro egoismo.
Alimentando il potere del Male, che non è privazione del bene, né turbamento dovuto a un ordine divino, si comprende come fosse conseguenza della fragilità umana e delle forze distruttive della Natura. Per Bodei, Leopardi non è né un irrazionalista, né un antiprogressista, né un nichilista, bensì un pensatore convinto che l’esperienza filosofica non possa fare a meno di quella poetica, un connubio necessario per non vivere banalmente la quotidianità e che, inoltre, potrebbe permetterci di spiegare il significato di solidarietà, da intendere come miglioramento delle condizioni sociali che, però, riguardano la finitezza dell’uomo, benché costui si trovi inserito in un universo infinito. Per Leopardi, il Cosmo non è sinonimo di bellezza (è la radice di cosmetica) o di un ordine divino, è semplicemente lo spazio in cui governa la Natura smisurata e distruttiva che nega la felicità e distrugge il sublime.
Bodei cita molti passi dei “Pensieri”, dello “Zibaldone”, dei “Canti”, in particolare della “Ginestra”, e cerca di condurre il lettore “Oltre la siepe”, per permettere all’immaginazione di vedere il mondo non come è, ma come non è, ovvero “quello che nel pensier mi fingo”.
Allora, è possibile chiederci se l’immaginazione possa veramente permettere l’accesso all’infinito. Ma se questo è illimitato, resta per l’uomo un sogno irraggiungibile?
Per capire come Leopardi non sia stato semplicemente un poeta, ma un pensatore originale, oltre che un precursore del pensiero filosofico del Novecento, a cominciare da Nietzsche, per arrivare a Heidegger, a Severino, fino a Bodei, basterebbe leggere alcune frasi tratte dallo Zibaldone (4178, 2 maggio 1826): “Pare che solamente quello che non esiste, la negazione dell’essere, il niente, possa essere senza limiti e che l’infinito venga in sostanza a esser lo stesso che il nulla”.
Remo Bodei, “LEOPARDI E LA FILOSOFIA”, a cura di Gabriella Giglioni e Gaspare Polizzi, Mimesis 2022, pp.146, € 14