(di Andrea Bisicchia) – Perché il teatro, in assenza di idee, si rivolge molto spesso ad argomenti di carattere religioso? Forse perché la banalizzazione della lingua, oggi, favorisce la ricerca di un linguaggio, magari indecifrabile, come quello delle Sacre Scritture, che lascia però parecchio spazio alle argomentazioni, alle interpretazioni e, pertanto, alle rappresentazioni? Nel secolo scorso, sono stati parecchi i registi e gli autori che hanno scelto la simbologia del sacro, anche se, spesso, in disaccordo con i dogmi della chiesa o con le dottrine filosofiche della fede, si va da Copeau ad Artaud, da Julian Beck a Grotowski, a Barba, da Brook a Kantor, da Eliot a Fabbri, a Testori.
In questi ultimi mesi, sono stati, in tanti, a proporre o riproporre testi che abbiano a che fare col sacro, vedi “La sacra novella” di Fabrizio De André, riproposta con successo da Neri Marcoré al Teatro Carcano che ne è anche coproduttore, e ancora “Adam’s Passion” di Arvo Part e Robert Wilson che ha realizzato in chiave performativa la storia del primo uomo sulla terra, Adamo appunto, che si scopre essere la causa di tutti i mali che hanno invaso la terra, forse gli stessi che furono sprigionati dal vaso di Pandora, a dimostrazione che mito e religiosità finiscano, a volte, per incontrarsi.
Arvo Part aveva già mostrato le sue predilezioni per l’innografia liturgica col “Miserere”, col successivo “Adam’s Passion” è passato dal compianto al lamento, quello di Adamo, cacciato dall’Eden e abbandonato in una “terra desolata” che fa pensare ad Eliot, autore del ben noto “Assassinio nella cattedrale”, una rappresentazione sacra che mostrò, a suo tempo, le potenzialità del teatro quando si accosta ad argomenti di carattere religioso. Il protagonista di “Adam’s Passion” è ben diverso dall’Arcivescovo di Canterbury, non va in cerca del martirio, bensì tenta di riflettere e di capire perché l’uomo debba essere artefice di tutti quegli orrori che hanno attraversato le epoche del passato e del presente, durante le quali si sono combattute guerre di sterminio.
L’occasione di questa messinscena dimostra come il sacro ben si adatti a quella multidisciplinarietà che contraddistingue il lavoro di un regista come Bob Wilson. Altro spettacolo recentissimo, visto all’Arena del Sole di Bologna, è quello di Angelica Liddell che ha proposto “Caridad”, dopo un precedente lavoro dedicato alla Prima Lettera di San Paiolo. La regista spagnola, ritenuta ormai tra le più innovatrici della scena internazionale ha diretto un vero e proprio inno alla Carità, una categoria che implica, non soltanto i germi della felicità, ma anche quelli di una disposizione della natura umana ad atti non malvagi, atti che richiedono all’uomo di perdonare o di trasgredire tenendo, come modello, la trasgressione di Cristo, ritenuto il primo sovversivo dell’umanità, come lo considerava De André nella “Buona novella”. Angelica Liddell ha portato sul palcoscenico sette attori o persone che hanno subito una operazione di laringectomia, espediente utilizzato da Romeo Castellucci nell’”Orestea”, a dimostrazione di come in tempi recenti i “sovversivi” della scena spesso si incontrino nell’uso di forme estreme, applicate alla vocalità, oltre che in alcune ricerche di carattere tematico.
Come dimenticare, sempre di Castellucci, “Sul concetto del volto di Dio”, uno spettacolo che, nel 2012, fece infuriare molti cattolici conservatori, che minacciarono, non solo il regista, ma anche Andrée Ruth Shammah per averlo ospitato nel suo teatro.
Gli esempi potrebbero continuare, pensando al “Cantico dei cantici” messo in scena da Roberto Latini, oppure a “Rosvita”, più volte, riproposto da Martinelli – Montanari.
L’ultimo esempio è quello di “LAZARUS” di David Bowie e Enda Walsh, con la regia di Walter Malosti che si potrà vedere, allo Strehler, dal 23 al 28 Maggio, dove il rimando al personaggio biblico ripropone il tema della resurrezione e dell’immortalità.
L’esigenza del sacro nasce, inoltre, dal bisogno di riteatralizzare il teatro, recuperando forme rituali che non possono, oggi, promettere alcuna catarsi, come avveniva nella tragedia greca, perché, semplicemente, tendono al recupero di “generi” e di “spazi” che, una volta, appartenevano alla storiografia medievale e che, ai giorni nostri, appartengono all’antropologia, che tende a riproporne nuove letture e nuovi apparati, indispensabili per capire il teatro di ieri e quello di oggi.
Crisi di creatività? E il teatro si rivolge ai riti e alla sacralità della religione. Tra i misteri e le suggestioni delle Scritture
8 Maggio 2023 by