
Milano. Patrick Pineau, protagonista di “Cyrano de Bergerac” di Rostand al Piccolo Teatro Strehler, spettacolo celebrativo del trentesimo anniversario dei Teatri d’Europa, creati da Giorgio Strehler e Jack Lang nel 1983
(di Paolo A. Paganini) Ma quali reconditi significati o palesi metafore si vogliono mai vedere dietro al “Cyrano de Bergerac” (1897) di Edmond Rostand (1868-1918)? E sarà poi vero che si potrebbe perfino analizzare scomporre ripulire i grandiosi eccessi, le mostruose esagerazioni di quest’epica storia del nasuto eroe spadaccino poeta, anatomizzando quella sua tracotanza di guascone, quel suo cuore folle e innamorato, quella sua temeraria indipendenza, come se fosse un romanzetto d’appendice? Ma cosa si potrà mai vedere dietro a un monumento? E “Cyrano”, come “I tre Moschettieri” del Dumas “père”, o – se non suona spregiativo – come Arsenio Lupin, come Maigret, è un monumento di storia patria francese. Guai a toccarla. Solo in una nazione come la Francia, rispettosa della sua storia, dei suoi eroi, veri o di carta, è possibile vedere, in una piazza di Auch, in Guascogna, un trionfale monumento a D’Artagnan (un bicchiere d’armagnac e una degustazione di “fois gras” potranno farvi apprezzare ancor più intensamente una visita al famoso Moschettiere in questa tranquilla città del sud!).
Sarà dunque “grandeur” fin che volete, ma l’amor patrio si rispetta e si onora anche così, con il monumento a un eroe inventato. Questo per dire che i cinque atti del “Cyrano”, se vi garba, si devono bere degustare godere così come sono. E, se per caso fossero in italiano, rifiutate come fasulle tutte quelle versioni che non fossero l’edizione fine Ottocento in versi martelliani di Mario Giobbe, ideale continuatore della poesia cavalleresca.
Qui, ora, al Piccolo Teatro Strehler è in lingua francese con sopratitoli in italiano, dei quali non si sente sempre il bisogno talmente l’opera è naturalmente esplicita e facilmente leggibile. Ma il piacere di ascoltare l’opera in versi di Rostand, che alla prima parigina del 1897, interpretata da Coquelin fu un successo senza precedenti, è di per sé incommensurabile. La storia tutti la conoscono. Cyrano, sgraziato e nasuto, ma fine poeta e filosofo-spadaccino, ama da sempre la cugina Rossana, ch’è invece innamorata di Cristiano, un cadetto, bello buono e vacuo. Vanno alla guerra. Cristiano muore senza rivelare alla giovane donna che tutte le lettere, le poesie, i pensieri che lui le dedicava dal fronte di guerra erano in realtà opera di Cyrano. Il segreto viene sepolto con lui. Rossana, affranta, si ritirerà in convento. Solo dopo di dieci anni, all’inconsolabile Rossana, mentre Cyrano ferito mortalmente a tradimento le fa la settimanale visita in convento, si svela la verità. Rossana infine capisce il sacrificio la dedizione l’amore eroico di Cyrano. Troppo tardi.

A Parigi, Théatre de la Porte-St. Martin, Coquelin fu il primo Cyrano, nel 1897 (qui, nel suo camerino, ripreso dalla matita di Abel Faivre)
Ora, sul grande pascoscenico del Teatro Strehler, Georges Lavaudant ha allestito tutta d’un fiato in due ore e venti senza intervallo questa commedia/tragedia, frequentata in più di un secolo dai più grandi attori e registi, anche con masse di attori e comparse da opera lirica. Savary, nel 1983, aveva 33 attori e 7 musicisti. Più di 40 ne aveva Robert Hossein, nel 1991, con l’interpretazione di Jean-Paul Belmondo. Scaparro, nel 1997, se la cavò con una decina di attori in scena, nell’interpretazione di Pino Micol.
Ma a una trentina di presenze, con epiche battaglie, ricorse Gigi Proietti quando festeggiò i suoi vent’anni di teatro. Lavaudant, con i tempi che corrono, non è andato più in là di diciassette attori (distribuiti in più parti). Ma con un immenso Patrick Pineau, singolare Cyrano, ironico e ragionatore, finissimo spadaccino in punta di fioretto e in punta di lingua. Al suo fianco una graziosa Marie Kauffmann (Roxane), tanto gentile e tanto onesta e così ottusamente cieca al vero amore.
Soprattutto ci pare che Lavaudant abbia voluto puntare su un aspetto non secondario di quest’opera immortale: il suo carattere giovanile, i grandi amori, le gesta valorose, le dannunziane morti eroiche, per una donna o per un ideale, non aggrapparsi come l’ellera all’olmo per salire, ma farcela da soli, sbagliando o vincendo, non importa, eppoi quel pizzico di follia che scorre per tutta la commedia.
Bene, dunque, con scene-madri d’incontenibile entusiasmo e commozione, come la famosa scena del bacio (ben più intensa e veritiera della shakespeariana Giulietta veronese), e la morte di Cyrano (in un trionfo lacrimogeno di fazzoletti). Meno bene diremo della statica scenografia, non entusiasmante, pressoché a scena fissa. Tripudio di applausi alla fine per tutti.
Si replica solo fino a giovedì 31.