
Da sin.: Franco Castellano, Maurizio Donadoni e Maria Paiato in “Play Strindberg”, regia di Franco Però
MILANO, venerdì 24 novembre ► (di Paolo A. Paganini) Strindberg secondo Dürrenmatt. Cioè Play Strindberg. Cioè, divertiamoci a recitare “Danza macabra” di Strindberg. E più non chiedere.
Un passo indietro. Strindberg scrisse “Danza di morte”, o “Danza macabra” nel 1900. Un capolavoro della crudeltà coniugale. Come ben si addiceva al misogino autobiografismo di Strindberg, alla sua concezione della vita coniugale come inferno domestico. Il matrimonio come prologo dell’inferno? No, il matrimono come dannazione. Tragedia di anime senza speranza di redenzione. O di felicità, ch’è lo stesso.
Qui, in Strindberg, dopo venticinque anni di matrimonio, due coniugi, lui Capitano di una piccola guarnigione su un’isola dimenticata da dio e dagli uomini, lei memore di giovanili e frustrate ambizioni teatrali, continuano a sbranarsi, ad amarsi con cattiveria, a rinfacciarsi colpe vere o presunte. Forse per sentirsi ancora vivi. Finché non arriva a trovarli un cugino straniero, già intrescato tanti anni prima con la donna. Ora i fragili equlibri di guerra e pace sembrano rompersi definitivamente. Poi il cugino se ne va. E tutto, tra marito e moglie, torna come prima.
In questo tragico e trasfigurato naturalismo poetico di Strindberg (figure sataniche, la moglie Alice, mariti vampireschi, il Capitano, anime remissive e sacrificali, il cugino Kurt), molte compagnie si sono confrontate, tra sperimentalismo e fedeltà contestuale. A memoria: Anna Proclemer e Gabriele Ferzetti, regia Calenda; Bonacelli-Milani-Simoni, regia Bernardi; Brignone-Garrani-Agus, regia Sepe; Asti-Ferrara-Crippa, regia Ronconi. Con diverse o riduttive manipolazioni di personaggi, ma sempre ovviamente inamovibili Alice, Capitano e Kurt, che ritroviamo anche adesso in una poderosa spallata drammatugica, dove il rispetto e la fedeltà al testo strindberghiano vanno un po’ a farsi benedire.
Sappiamo che ogni tragedia può facilmente essere traghettata dal pianto al riso. Non c’è niente che faccia ridere più della dragedia. Parola di comici.
Anche il paradossale, anticonformista, iconoclasta Dürrenmatt ci crede. Alla sua maniera.
“Play Strindberg” (1969), versione riveduta e corretta di “Danza macabra”, ch’è uno sconvolgimento di anime che

Franco Castellano e Maurizio Donadoni in una scena di “Play Strindberg” al Teatro Menotti (foto Simone Di Luca)
vogliono sopravvivere al naufragio della loro vita coniugale, come s’è detto, qui è ora una tragedia che si diluisce nel comico, che si trasfigura in ironia, che si traduce in sarcasmo. E che fa spesso ridere.
In un’ora e mezzo senza intervallo, al Teatro Menotti, Dürrenmatt, con la complicità della mess’in scena di Franco Però, celebra la guerra dei sessi di Alice, Capitano e Kurt, in un match che avviene su un impianto scenografico (di Antonio Fiorentino) immaginato e costruito come un ring. Qui, si svolge l’incontro dei tre “contendenti”: tutti all’angolo per undici riprese, con tanto di gong a interrompere i round.
La struttura è quella di “Danza macabra”, ma il testo si Strindberg è prosciugato e incalzante, con battute che arrivano come rapidi uppercut, o come micidiali colpi bassi. Ma, tutto sommato, i tre sono sempre alla pari, nessuno va al tappeto. Tutti se le danno di santa ragione. Tutti apparentemente vincitori, ma tutti in realtà sconfitti.
Alla fine, il Capitano si ritrova immobile in poltrona in una mugugnante demenza, c’est la vie, mentre Alice al pianoforte piange la partenza cinica e crudele dell’amato Kurt.
Gong finale.
I tre personaggi sono interpretati da Maria Paiato (Alice), Franco Castellano (il Capitano), Maurizio Donadoni (Kurt). Tutti bravissimi, strepitosi e applauditissimi alla fine di ogni round.
Un discorso a parte merita la Paiato. È conosciuta la sua straordinaria potenza drammatica, ma qui la esibisce con abilità stupefacente in una gamma di contrappuntistici passaggi, dal crudele all’ironico, dalla violenza muliebre a una mortale indifferenza, da una impietosa perfidia (sempre) a una tentazione di tenerezza (mai), il tutto con una dizione e una vocalità nitide e affascinanti. Entusiasmante.
La regia di Franco Però è attenta e rispettosa, quel tanto che basta a valorizzare e a lasciare emergere la divertente violenza dei colpi dei tre campioni. Specie quelli sleali.
Si replica fino a domenica 3 dicembre.
“PLAY STRINDBERG” di Friedrich Dürrenmatt, traduzione Luciano Codignola, con Maria Paiato, Franco Castellano, Maurizio Donadoni – Regia di Franco Però – Scene Antonio Fiorentino, costumi Andrea Viotti, luci Luca Bronzo, musiche Antonio Di Pofi – Al TEATRO MENOTTI, Via Ciro Menotti 11, Milano – tel. 02 36592544.