Danza macabra tra stupri torture e violenze. Ma Thomas Middleton non è Shakespeare. E qui la morte fa sorridere

Pia Lanciotti (Duchessa), Fausto Cabra (Vindice), Massimiliano Speziani (Duca) in “La tragedia del vendicatore”, di Thomas Middleton. Foto Masiar Pasquali

MILANO, mercoledì 10 ottobre ► (di Paolo A. Paganini) Ecco “La tragedia del vendicatore”, finalmente restituita al suo padre naturale, il reietto e censurato Thomas Middleton (fustigatore della corrotta corte inglese), dopo essere stata assegnata fino alla fine del Novecento a Cyril Tourneur (compresa dunque anche l’edizione ronconiana tutta al femminile del 1970).
Contemporaneo a Shakespeare, ne fu anche ispiratore e collaboratore, almeno in “Macbeth”, in “Timone di Atene”, in “Misura per misura”, in “Tutto è bene quel che finisce bene” e, soprattutto, in “Tito Andronico”, tragedia, quest’ultima (1590), che, tra mani e lingue mozzate, stupri torture mutilazioni e omicidi, carni di madri e figli arrostiti e imbanditi, citiamo volentieri e intenzionalmente, perché in Middleton, in questa sua “Tragedia del vendicatore” (1606) compete con Shakespeare in gara di violenze e crudeltà.
Ma tra i due, tra il più giovane Middleton (1580-1627) e Shakespeare, più anziano di sedici anni, ci sono sostanziali diferenze stilistiche: per Shakespeare, la tragedia, in un crescendo di orrori, è un truce e angosciante affresco umano di vendette e di morte; per Middleton, invece, la tragedia è “un tragico burlesco che attinge a vari generi: la revenge tragedy, la satira, il morality play, l’omelia medievale e la danza macabra” (dal libretto di sala). Non certo un “masque” da rappresentare a corte, però, ma senz’altro spassosamente apprezzato dalle umane genti del teatro elisabettiano!
Un altro nome che per Middleton viene citato con voluttà dai critici, è “teatro della crudeltà”, facendo risalire ante litteram all’ignaro Antonin Artaud (1896-1948) un marchio che non condividiamo. La definizione “teatro della crudeltà”, come il gemello “cinema della crudeltà”, è di comodo uso per indicare sadismo, violenza, macelleria, stragi e stupri, perché la definizione “teatro (o cinema) della crudeltà” suona bene e nessuno ha da ridire. Per Artaud, viceversa, la definizione aveva un ben altro impianto socio-filosofico, e non staremo a pontificare, salvo ricordare una sua bellissima frase: “Il teatro è prima di tutto rituale e magico. Non è una rappresentazione. È vita stessa… Non come sadismo, ma inteso come volontà di liberarsi di qualunque elemento che non fosse attinente al testo teatrale...”.

Fausto Cabra in una scena di “La tragedia del vendicatore”, di Thomas Middleton, drammaturgia e regia Declan Donnellan. Foto Masiar Pasquali

La crudeltà del suo teatro ha anche una connotazione morale, nell’utilizzare “parole che mettono a nudo i conflitti sociali e le condizioni della vita di tutti i giorni”. Altro che teatro della crudeltà.
Il regista Declan Donnellan, al Piccolo Teatro Strehler, in un’ora e cinquanta senza intervallo, è andato ben al di là di tante elucubrazioni intellettualistiche. Fin dalla prima scena, palcoscenico con fondale a staccionata, con porte che rivelano, dietro, fondi di scena e proiezioni in riprese tv, Donnellan impone subito un suo preciso sigillo, coerente e definitivo, prendendo il burlesco alla lettera con tentazioni musical.
I quattordici interpreti tutti italiani (caspita, che bravi), e tutti intenzionati a divertirsi un sacco, senza rinunciare alla brutalità della tragedia, nella quale si assiste gaudiosamente a corruzioni e seduzioni, a morti e torture, a teste decapitate, a lingue mozzate e a nobili ciecati (ah, vedi “Lear” e “Titus” shakespeariani), et cetera. Ma, all’inizio, per far capire subito di che si tratta, si esibiscono – cogliendo il pubblico di sorpresa – in una performance rock da discoteca. Brevissima.
Verrà ripresa, poi, a conclusione dello spettacolo in una vaga sensazione canzonatoria, come un sabba infernale, mentre in un’orgia umana di sangue e di musica, si ammazzano tutti felici e contenti, l’un l’altro pugnalandosi. E tutti giù per terra, come la nota filastrocca d’un girotondo infantile. O, meglio, come inutili sacchi vuoti. Perché così è l’uomo, oggi come allora, con le sue effimere vanità d’aria.
Donnellan, alla sua prima produzione al Piccolo e in Italia con una compagnia tutta italiana, con una linearità narrativa e un rigore e una coerenza feroci fino alla “crudeltà”, dimostra quella geniale creatività con la quale viene comunemente indicato. Fra gl’interpreti, citiamo almeno, in rappresentanza di tutti, Fausto Cabra, il Vindice, con il suo simbolico bagaglio di morti, Amleto alla lontana, con il teschio sempre con sé dell’amata promessa sposa, stuprata e evvelenata dal Duca (Massimiliano Speziani), destinato a una orrenda fine.
Alla fine i quattordici interpreti tutti in scena, compreso il regista, in una festa di applausi.

“La tragedia del vendicatore”, di Thomas Middleton, drammaturgia e regia Declan Donnellan, versione italiana Stefano Massini. Con Ivan Alovisio (Lussurioso), Alessandro Bandini (Junior), Marco Brinzi (Giudice), Fausto Cabra (Vindice), Martin Ilunga Chishimba (Direttore carcere), Christian Di Filippo (Supervacuo), Raffaele Esposito (Ippolito), Ruggero Franceschini (Vescovo), Pia Lanciotti (Duchessa / Graziana), Errico Liguori (Spurio), Marta Malvestiti (Castiza), David Meden (Ambizioso), Massimiliano Speziani (Duca), Beatrice Vecchione (Medico). Al Piccolo Teatro Strehler, largo Greppi, Milano, dal 9 ottobre al 16 novembre 2018.
Durata: un’ora e 50 minuti senza intervallo
Informazioni e prenotazioni 0242411889
www.piccoloteatro.org

Tournée
Torino, Fonderie Limone, dal 20 al 25 novembre 2018 – Lugano, LuganoInScena, 29 e 30 novembre – Pavia, Teatro Fraschini, dal 6 all’8 dicembre – Firenze, Teatro della Pergola, dal 12 al 16 dicembre – Bologna, Arena del Sole, dal 10 al 13 gennaio 2019 – Modena, Teatro Storchi, dal 17 al 20 gennaio – Roma, Teatro Argentina,  dal 23 gennaio al 3 febbraio – Pordenone, Teatro verdi, 7 e 8 febbraio.