(di Andrea Bisicchia) L’autore di “Le maschere del senso. Come inganniamo il tempo, la morte, lo stupore di esistere”, Moretti & Vitali, ritiene che questo suo libro non debba rivolgersi né all’’’Accademia degli specialisti né ai filologi della filosofia, con i loro puntuali riferimenti bibliografici e, aggiunge, con il loro cinismo.
In verità, dopo che lo si è letto, ci si accorge che la struttura della sua ricerca è ampiamente scientifica e ben documentata, adatta, quindi, a un polo universitario. Parto da questa contraddizione, perché la materia che Roberto Caracci tratta è anch’essa contraddittoria, essendo costruita sul significato del senso, se trattasi di un fine o di uno scopo da raggiungere sulla terra o su un ipotetico Oltre, tanto da fargli distinguere l’uomo teologico da quello teleologico, benché entrambi siano condannati a una perpetua ricerca, all’andare sempre verso qualcosa, per ritornare, come Sisifo, al punto di partenza.
Ci si può, allora, chiedere se esista un senso predestinato o se siamo noi che diamo un senso al nostro destino. Se, però, esiste un senso a-priori, che prescinde dalla nostra ricerca di senso, ci si può chiedere che senso si possa dare a una vita senza senso. Per l’autore, il senso ha la capacità di mascherarsi, quindi, di ingannare sia la vita che la morte. L’uomo, però, non si accontenta del dubbio e, quindi, della sopravvivenza, cerca, pertanto, di dare un senso alla vita che fa consistere in un obiettivo da raggiungere, il solo che gli permetta di riempire il presente con una occupazione, che, se venisse a mancare, lo metterebbe in uno stato di angoscia, tanto che il suo essere teleologico lo sprona a raggiungere degli scopi in cui credere.
Accanto all’uomo che crede, c’è anche quello che non crede, per il quale esiste soltanto il Nulla, ovvero il non senso. Distinguendo tra senso laico e senso religioso, la domanda che ne consegue è: cosa vuol dire credere o avere fede in qualcosa? Nel primo caso, la fede coinciderebbe con i postulati della Ragione, nel secondo caso, con i postulati della Religione. Colui che non crede si muove in un tempo finito, al contrario, chi crede si muove in un tempo infinito. Esiste, però, il caso in cui il senso acquista un valore di mercato, l’autore, infatti, ci ricorda che si può vivere per essere utili oppure per acquisire degli utili, ovvero col senso pratico, quello del lavoro, che preserva dalla nevrosi e dall’angoscia, ben diverso dal senso contemplativo, il cui valore è terapeutico. Il lavoro, in tal modo, diventa uno scopo e libera l’uomo dalla ricerca di senso, ma lo concilia col destino, facendogli capire quale sia l’orientamento del vivere. Questo tragitto, Roberto Caracci lo individua nel discorso narrativo, quello che, secondo Ricoeur, non descrive semplicemente il mondo, ma lo ricrea ontologicamente, permettendo al senso di cercare l’Oltre, di esistere nella sua totalità, liberandolo dal labirinto, poiché si può dare una risposta alla domanda di senso, ricorrendo alla narrazione che, grazie alla sua componente favolistica , non cambia la vita, ma contribuisce a farla conoscere.
Roberto Caracci, “Le maschere del senso. Come inganniamo il tempo, la morte, lo stupore di esistere”, Moretti & Vitali, p.274, € 20.