Decimo Rigoletto dal ’94. Oggi? Insopportabile? Emozioni da brividi. E bis di Nucci sul proscenio. E in platea tutti in piedi!

Rigoletto

Rigoletto, interpretato da Leo Nucci (74 anni). E in sala ha scatenato entusiasmo e commozione.

MILANO, giovedì 14 gennaio ► (di Carla Maria Casanova) È mezzanotte. Lo spettacolo è finito alle 23,25 (15 minuti oltre il previsto per via degli applausi). Adesso avrei anche un discreto appetito, ma certe impressioni meglio metterle giù a caldo.
Si tratta del “Rigoletto” di Verdi alla Scala, dato per la decima volta dal 1994. Di quella edizione (Riccardo Muti, regia Gilbert Deflo, allestimento Ezio Frigerio/ Franca Squarciapino/ Marco Filibeck) sono cambiati direttore e interpreti: Nicola Luisotti sul podio e, nel cast, Leo Nucci (anche nel 1994, 2001, 2002, 2006, 2010, 20013), Vittorio Grigolo, Nadine Serra, Carlo Colombara.
È un allestimento che Frigerio, 22 anni fa, presentò con queste parole “nel solco della tradizione, il più elegante e ‘bello’ possibile. Con mezzi moderni, ho cercato di fare uno spettacolo che sarebbe piaciuto a Verdi e al suo pubblico.” In verità, è bello, bellissimo. Architetture grandiose, costumi storici sontuosi, luci stupende e, nel temporale, un acquazzone amazzonico con pioggia vera! Magari la regìa è un po’ troppo ovvia, e il balletto quasi insopportabile, ma tutto sommato direi la quintessenza di un’ illustre realizzazione scenica.
Ciononostante persino io, di sostanziale matrice tradizionalista, dopo il primo atto mi sono ritrovata a fare questa riflessione: non si sopportano più spettacoli del genere. Sono superati, mortalmente noiosi. Manca l’idea. Benvenga Michieletto, che almeno ti propone qualcosa di nuovo. Nell’intervallo, alcuni colleghi, che domani si esprimeranno di conseguenza, andavano più sul pesante “uno schifo, una vergogna. Roba di 50 anni fa. E poi l’orgia, che orgia è? Ah, ah ah”. Alt. L’opera lirica non è cinema. In palcoscenico devono  anche cantare. Farli stuprare in scena, in omaggio a una ambientazione “realistica”, come oramai largamente si usa, mi pare inutile oltre che di pessimo gusto.
Si passa al secondo atto. Lo scattante Grigolo canta con passione “Parmi veder le lacrime”. Poi arriva Rigoletto. E qui succede qualcosa. “Cortigiani, vil razza dannata” impreca il Buffone, non più buffone. Leo Nucci è prossimo ai 74 anni. Ha avuto due infarti e ha due pass maker. Alcuni anni fa ha interrotto la carriera, si pensava in modo definitivo. Ma ha ripreso e, guarda caso, canta meglio di prima. Il suo “Cortigiani,” è una irruzione vocale possente. È il dramma del padre cui hanno disonorato la figlia e da lui prorompe un dolore incommensurabile e furibondo. In sala è ovazione.
14.1.16 collage rigolettoMa il più deve ancora venire.
Gilda ammette “qual onta padre mio!” e Rigoletto imbufalisce di brutto. (Sia detto per inciso, un po’ cretina questa Gilda che s’innamora dello studente Gualtier Maldè, poi se lo ritrova davanti come Duca seduttore, ma pare che costui abbia usato con lei i dovuti riguardi dato che “eppur m’adora” ammette la fanciulla dopo il trattamento e addirittura si fa ammazzare per salvargli la vita. E allora, cosa sono tutti questi pianti e queste onte?). Quello che ci interessa è però altro. È che la “Vendetta, tremenda vendetta” di Leo Nucci paralizza l’uditorio. Quando lui e Gilda (la debuttante alla Scala Nadine Sierra, brava) appaiono al proscenio a fine atto, è addirittura un tumulto. Nucci si ferma, come se volesse dire qualcosa. Il sovrintendente Pereira, che sta lì nel suo palchetto, gli fa cenno di sì con la testa. Allora lui (lui Nucci) riattacca a cantare “Sì, vendetta, tremenda vendetta” e Gilda conclude bene il duetto.
Un bis a spron battuto, lì in proscenio.
Mai visto, alla Scala.
A mia memoria, dopo il divieto di bissare di Toscanini, ci fu lo storico bis del “Va pensiero” (Muti) e, se non sbaglio, quello dei nove do della “Figlia del reggimento” (Florez). Qui, è quasi sommossa, standing ovation. La platea in piedi. A metà spettacolo. Grandissima emozione per tutti. Quei colleghi di cui sopra sbottano  indignati “È una gigionata! È stadio!” Sarà. Ma l’opera lirica è anche questo: stadio, corrida. Happening che ti capita quando meno te l’aspetti. E allora mandi giù anche “La giovinetta a noi riusciva quindi asportar” che degrada il rapimento di Gilda a livello di una pizza.
L’opera lirica è stupida, sorpassata, irresponsabile, grottesca. Ma se poi ti dà emozioni grandi così, va bene com’è. Purché le emozioni siano autentiche, naturalmente.

Teatro alla Scala, repliche 17, 20, 22, 24, 29 gennaio 6 febbraio.
www.teatroallascala.org