(di Andrea Bisicchia) Il teatro italiano dimentica, spesso, i suoi autori classici e, quando li ripropone, non sempre affida alla rappresentazione il loro valore profondo che è anche testimonianza del secolo in cui sono stati scritti, oltre che della loro universalità. Delle commedie di Machiavelli si ricordano due belle edizioni che risalgono agli anni Settanta e che portavano la firma di Roberto Guicciardini, entrambe alternavano il rigore filologico con qualità stilistico formali non indifferenti. Altre edizioni, puntando alla superficie, hanno avuto meno storia.
Chi volesse oggi ritornare su “La Mandragola” e “La Clizia” non potrebbe fare a meno dello studio approfondito di Valter Boggione: “Le parole amorose: Mandragola, Clizia, Morgante”, Marsilio editore, dal quale potrebbe ricavare decine di spunti per eventuali messinscene.
Ristudiando le due commedie, soffermandosi su ogni parola, l’autore lo ha fatto come un regista sapiente, sostenendo subito una tesi, ovvero che la comicità, contenuta nelle due opere, vada ricercata, non nelle situazione né nell’intreccio, bensì nelle parole, quelle sciocche, quelle ingiuriose, quelle amorose, la cui potenza appartiene, però, alla gergalità, ricca di controsensi e di metafore che sono il fondamento stesso della scrittura comica, grazie alle quali vengono evitate le oscenità, perché ovattate dall’uso che si riesce a farne.
A questa tesi, Boggione fa seguire quella dei rapporti che esistono tra l’opera teatrale del Machiavelli con la tradizione novellistica, carnascialesca e burchiellesca, ma anche con la classicità, attraverso Plauto e Terenzio, del quale il segretario fiorentino aveva tradotto “L’Andria”, e ancora con l'”Ars poetica” di Orazio, con i cui versi riveste i Prologhi, oltre che le Canzoni e gli Intermezzi, vere e proprie dichiarazioni di poetica, intrise di quel tanto di epicureismo tanto caro a Lorenzo dei Medici e alla città di Firenze. “Giovare” e “Dilettare” è il motto di Orazio, ebbene non c’è di meglio per vivere senza affanni e senza inganni a cui l’umanità sembra destinata.
Gli inganni a cui ricorre Machiavelli sono quelli tipici della commedia classica, essendo costruiti sull’avarizia dei vecchi, sul furore degli innamorati, sulla miseria dei servi, sulle lusinghe delle meretrici, sulla poca fede degli esseri umani. Di questi inganni sono protagonisti giovani parassiti, fraudolenti, puttane, innamorati. Sia gli inganni che i caratteri hanno come fine la comicità e il diletto che, a loro volta, sono generati dalla doppiezza della scrittura che, per un bravo regista, dovrebbe trasformarsi in scrittura scenica non certo convenzionale.
Le tematiche presenti nelle due commedie, pur costruite sull’amore senile e giovanile, sulla bisessualità, sull’eros come motore dell’azione, non escludono le letture allegoriche, né quelle politiche, tanto che molti esegeti, tra i quali lo stesso Boggione, fanno spesso riferimento all’autobiografismo del Machiavelli, escluso dalla vita politica dai Medici, la cui insoddisfazione è presente nella Mandragola, o escluso dalla vita amorosa, perché ritenuto vecchio (aveva 46 anni) quando si innamorò di Barbara Salutati,la nota cantante della Clizia. Non credo all’autobiografismo, in questo secondo caso, dato che Nicomaco, nella commedia ha settant’anni ed è atrocemente beffato, oltre che svergognato. La vergogna a cui allude l’autore va estesa alla società del suo tempo che viveva una specie di miracolo economico, interrotto dall’arrivo di Carlo VIII, tanto che la Mandragola può considerarsi il riflesso di quel miracolo, mentre Clizia, il riflesso della crisi. Un breve capitolo è dedicato al Morgante e alle parole amorose del poema corrosivo del Pulci.
Valter Boggione, “Le parole amorose: Mandragola, Clizia, Morgante”. Marsilio editore 2016, pp 260, € 26.