(di Andrea Bisicchia) Prima di leggere “A futura memoria (se la memoria ha un futuro)”, Adelphi, consiglierei di leggere le Note di Paolo Squillacioti che, con rigore filologico, ci informa non solo sulle differenze che esistono tra l’edizione Bompiani del 1989 e l’attuale, ma anche sulle occasioni che lo indussero a scrivere i 31 articoli apparsi prevalentemente sul “Corriere della sera” e sull’”Espresso”. I temi che l’autore affronta sono quelli del ruolo dell’intellettuale dinanzi ad avvenimenti che riguardano fatti di mafia, quelli dei diritti calpestati, degli sbagli giudiziari, dei casi di condanne eclatanti, come quella di Enzo Tortora.
Si va dal 7 ottobre 1979, ovvero dall’uccisione del magistrato Cesare Terranova, si attraversa il periodo del Maxiprocesso, dei collaboratori di giustizia, per arrivare ai professionisti dell’antimafia e per concludersi col ricordo di Renato Candida, il capitano coraggioso a cui si era ispirato per la figura del capitano Bellodi, protagonista di “Il giorno della civetta”.
La scrittura di Sciascia sa di pietra, nel senso che non risparmia nessuno, soprattutto quando affronta il problema della responsabilità dei giudici, della lotta alla mafia e di quella che si combatte all’interno delle istituzioni per questioni di potere. Per certe sue posizioni, Sciascia fu al centro di polemiche e di scontri che produssero dibattiti su altri quotidiani, grazie alle prese di posizioni di alcuni intellettuali che lo accusarono, addirittura, di indebolire la lotta alla mafia e di favorirne l’esistenza. Accuse che il tempo ha ribaltato, ritenendo profetiche certe sue deduzioni, come quella di colpire la ricchezza dei mafiosi,”I picciuli”, essendo, i beni criminali diventati beni di investimento. Di una cosa Sciascia era certo riguardo la mafia, ovvero che, se quella del passato era ben definibile, quella del presente rimane indefinibile. Quando egli cercava di discutere sugli effetti che avrebbe generato, lo si accusava di fraintendimenti e di favorire le “alleanze oggettive”. Per lui non c’erano dubbi su alcuni casi clamorosi: Tortora era innocente, Calvi si era ucciso, la Chiesa, prima del famoso intervento del Cardinale Pappalardo, era consenziente, il generale Dalla Chiesa se l’era cercata, avendo rinunziato alla protezione, ipotesi che fu oggetto di polemiche con Bocca e col figlio Nando.
Ciò che irritò di più fu la sua presa di posizione nei confronti della magistratura, dentro la quale, a suo avviso, si fa carriera solo se si è competenti del fenomeno mafioso, sottintendendo che si era creato un potere che non consentiva né critiche né dissensi, come dire che, dentro l’antimafia, esistevano e, purtroppo esistono, delle vere e proprie storture.
Sciascia non concede favoritismi neanche al Maxiprocesso a cui era stato presente in una sola udienza, ricavandone una strana sensazione per la sentenza che era stata emanata, che, a suo avviso, riteneva osservante del diritto, della Legge e della Costituzione. Rimase perplesso circa la teoria della “cupola”,tratteggiata da Buscetta durante le interrogazioni, perché egli sostiene di non aver mai creduto alla struttura piramidale, ritenendo, la mafia, una confederazione di mafie, fatta di “cupole, cupolette e cupoloni”, termini che attribuisce a un poeta romanesco.
Leonardo Sciascia, “A futura memoria (se la memoria ha un futuro)” – Adelphi 2017 – pp 206 – € 24.