Discesa negli inferi del “profondo” di Jung, dove, nel sacrificio dell’Io, convivono ordine e disordine, finito e infinito

collage Jung(di Andrea Bisicchia) Nel 2010, l’editore Boringhieri, a cui si deve la pubblicazione di tutta l’Opera di Jung (1875-1961), dette alle stampe “ Il libro rosso”, creando un evento, non solo editoriale, dato che, sia lo studioso che il lettore comune, poterono accedere a un vero e proprio Zibaldone, un laboratorio, dentro il quale, l’autore, senza un vero e proprio impianto saggistico, andò in cerca di quei meccanismi universali dell’anima, noti come Archetipi.
Allora, gli studiosi furono concordi nel sottolineare l’allontanamento di Jung dal metodo freudiano, avendo intrapreso una strada tutta sua nell’ambito della ricerca psicoanalitica, dato che “Il libro rosso” conteneva il nucleo della sua attività scientifica, oltre che dei problemi personali, per i quali l’autore non dette mai l’autorizzazione alla pubblicazione, ritenendolo un libro privato, dove aveva messo a nudo la sua ricerca psicoanalitica, ricorrendo a quella che egli definì “l’immaginazione attiva”, che gli permise una specie di viaggio agli inferi.
Questo viaggio, oggi, è oggetto di studio nel volume “Jung e il Libro rosso. Il Sé e il sacrificio dell’Io” di Silvano Tagliabue, filosofo della scienza, e Angelo Malinconico, analista junghiano. Leit motiv della loro ricerca è il tema del sacrificio visto, non in chiave antropologica, né tanto meno in chiave antichista, bensì in chiave psicoanalitica. Proprio nel “Libro rosso” Jung aveva scritto: “Nessuno può o deve impedire il sacrificio. Il sacrificio non è distruzione, il sacrificio è la pietra miliare di ciò che verrà”, come dire che il sacrificio appartiene allo spirito del profondo, dove convivono ordine e disordine, finito e infinito, timore e tremore, titolo del libro omonimo di Kierkegaard, citato da Tagliabue e Malinconico, per evidenziare la differenza radicale che esiste tra il sacrificio nella tragedia greca, che appartiene alla sfera dell’etica e del collettivo (vedi “Ifigenia in Aulide”) e il sacrificio cristiano, che appartiene alla sfera della fede (vedi Abramo e Isacco), di cui il filosofo aveva  rilevato il carattere paradossale, pur non ritenendolo un difetto, trattandosi di un paradosso religioso e non logico.
Fu il matematico Cantor ad approfondirlo dal punto di vista logico, partendo dall’analisi del rapporto tra l’assoluto, l’infinito e il finito, ricorrendo all’esempio del “ Grand Hotel “, ideato da Ilbert e portato in scena da Luca Ronconi nel suo mirabile “ Infinities”, a dimostrazione di come il teatro fosse capace di divulgare la scienza.
I due autori si intrattengono, non solo sul “Libro rosso”, ma spaziano la loro ricerca nell’ambito della scienza, della religione, del mito, cercando conferme nel sacrificio vedico, nel cui rito, come del resto in tutti i rituali, c’è sempre una controparte invisibile, uno spazio intermedio tra cielo e terra.
Jung, proprio perché interessato agli archetipi, rilegge in chiave laica il sacrificio di Cristo, distinguendo tra rapporto mistico e rapporto gnoseologico, tra culto e mistero, andando in cerca di quella convergenza che è possibile rintracciare proprio nello spazio intermedio tra visibile e invisibile. Nel “ Libro rosso” troviamo scritto: “Di Dio qualcosa è inconoscibile, come la sua essenza, qualcosa è conoscibile,come tutte le proprietà attorno all’essenza, cioè la bontà, la sapienza, la potenza, la deità, la maestà”. Si può parlare di conversione? Certamente sì ,trattandosi di bisogno di assoluto, ovvero di purificazione, a cui si può accedere ricorrendo persino all’alchimia. Il prezzo del rinnovamento va individuato nella ricerca del mutamento.

Silvano Tagliabue, Angelo Malinconico, “Jung e Il libro rosso. Il Sé e il sacrificio dell’Io”. Moretti & Vitali 2014, pp 330 – € 24