Dizione, comunicazione, talento: senza tanti trucchi digitali è tornato in scena l’attore. Gli spettatori? Tripudio di consensi

(di Andrea Bisicchia) In questi ultimi mesi abbiamo assistito al ritorno dell’ATTORE sui palcoscenici italiani, con alcune interpretazioni memorabili. Eppure, sembrava una razza scomparsa, messa all’angolo dal performer che ne aveva usurpato la potenza comunicativa.
Se n’è accorta la critica e, soprattutto, il pubblico che è ritornato ad applaudirlo.
Non è, certo, l’attore dei laboratori, dei training, né l’attore istrionico è, semplicemente, quello che ritorna a mostrare e a imporre il suo talento, la sua capacità interpretativa, la sua dizione molto chiara e coinvolgente, non declamatoria, ma fatta di pensieri e di riflessione.
Insomma, è tornato al centro della scena, per offrire garanzia, un prodotto di qualità, pur rinunziando, spesso, al magistero registico.
A dire il vero, sono ormai pochi, si contano sulle dita di una mano, così come sono pochi i registi che potrebbero guidarli, al di là delle loro doti.
Sono stati Orsini-Branciaroli a trasformare un testo della Serraute in una grande prova d’attore, ritornando a dare sicurezza al pubblico, alquanto distratto da tanti appuntamenti che si risolvevano in un nulla di fatto, perché, dietro, c’era un vuoto di pensiero e di interpretazione. Sul palcoscenico, Orsini-Branciaroli hanno versato la loro lunga esperienza e la ferrea professionalità, guidati, quasi senza disturbare, da un maestro come Pier Luigi Pizzi.
Gli applausi, nei vari teatri della penisola, hanno raggiunto i cinque minuti, non solo al Piccolo di Milano, ma anche in teatri di provincia, come il Goldoni di Bagnacavallo, con un pubblico che non finiva mai di applaudire.
Lo stesso accade, in questi giorni, con Silvio Orlando che, da solo, attrae lo spettatore con un monologo di Romain Gary, programmato anche al Franco Parenti, che, da solo, attrae il pubblico, grazie alla sua bravura e umanità che alterna con una sottile ironia.
Avevamo notato gli stessi risultati con lo spettacolo “Piazza degli eroi”, seguito da un pubblico numeroso, attento e affascinato dallla interpretazione di Renato Carpinteri e Imma Villa, guidati, con mano leggera, da Roberto Andò.
Vanno ancora segnalati, per la loro bravura: Massimo Dapporto, osannato dal pubblico, in uno spettacolo di Labiche, regia di Andrée Ruth Shammah; Fabrizio Gifuni con la sua interpretazione del Caso Moro; Gabriele Lavia, sempre una sicurezza, come nel caso del “Berretto a sonagli”, coadiuvato da Federica Di Martino; Massimo Popolizio che ha fatto suo un Mussolini teatrante, grottesco e beffardo, dimostrando ancora la sua bravura, coadiuvato da un ottimo Tommaso Ragno.
È come se, all’improvviso, il palcoscenico fosse ritornato a rianimarsi, grazie al potere della recitazione, senza nostalgie per il passato, come a dire che il teatro non può fare a meno della professionalità e del carisma dell’Attore che è ritornato allo scoperto, richiedendo al pubblico la fiducia che aveva smarrito, perché era stato il teatro ad aver smarrito il suo potere comunicativo, avendolo sostituito con vacue provocazioni, con l’arbitrio, con la ricerca dello scandalo, elementi che si impongono solo quando non si ha nulla da dire.

La Redazione di Lo Spettacoliere dedica questa riflessione a Paolo Graziosi, che aveva fatto del palcoscenico lo spazio della sua vita.