Don Chisciotte, anchilosato e bastonato. Finisce in sala di rianimazione. Cercò fama e gloria. Gliela diede Cervantes

MILANO, giovedì 20 gennaio ► (di Paolo A. Paganini) Uno dei più grandi capolavori mondiali, “Don Chisciotte” (El ingenioso hidalgo Don Quijote de la Mancha), scritto in prosa da Miguel de Cervantes (1547-1616), venne pubblicato a Madrid nel 1605. Dieci anni dopo, nel 1615, seguì una seconda parte. Romanzo di cavalleria, genere sempre amatissimo, anche tra il popolo, è la storia di un hidalgo, immaginario nobiluomo di campagna, uomo semplice, ingenuo e generoso, forsennatamente preso dalla letteratura dei romanzi cavallereschi. Ne discute continuamente con i suoi amici, il Curato e il Barbiere. In una montante ed irrefrenabile esaltazione che lo porta a identificarsi con quei cavalieri erranti, si fa anche lui paladino dei cavalieri erranti, disposti anche a sacrificare la vita in nome e della giustizia e in difesa dei più deboli.
Don Chisciotte ormai fuori di mente, invasato e posseduto da quegli ideali di fama, di gloria e di giustizia, indossate le vecchie armature dei suoi avi, con scudo e lancia, e una visiera di cartone, in groppa al suo magro cavallo Ronzinante, se ne andrà all’avventura, per riparare i torti e alle storture del mondo. Ma, prima, dovrà spiritualizzare una nobile dama dei suoi sogni e dei suoi ideali, una contadina, che chiamerà Dulcinea del Toboso, e nominerà suo scudiero un rozzo contadino, Sancho Panza, in groppa a un asino, promettendogli inesistenti ricchezze e l’illusorio governatorato di un’isola. Ora non gli manca niente per essere un perfetto cavaliere errante.
E da qui, con questa nostra prefatio ridotta all’osso, cominceranno tutte le sue “portentose” avventure.
Tutte concluse con flagellanti bastonate sul groppone, di volta in volta sempre dolorante, pesto e ferito. E sempre andando di osteria in osteria (scambiate per regge e palazzi), incontrando serve e donne di malaffare, onorandole come principesse e damigelle.
La prima avventura sarà quella dei mulini a vento, scambiati per giganti, dai quali sarà travolto.
Scambierà, poi, dei frati con una statua, che Don Chisciotte vede come rapitori di donne indifese, e finirà percosso e malmenato.
Ormai il destino di Don Chisciotte e del suo scudiero è segnato.
Finirà sempre a botte da orbi. Sempre malconcio e ferito. Sempre inamovibile nei sogni di gloria, di amore e di giustizia.
Branchi di pecore e montoni gli sembreranno eserciti di nemici. Sempre e ancora travolto da contadini braccianti operai o nobili e conti gelosi e inferociti, che lo prenderanno a bastonate. Etcetera.
Ma infine Sancho, dopo altre gloriose e miserevoli avventure/sventure, incontrerà fortunatamente il Curato e il Barbiere, e il povero Cavaliere sarà persuaso a tornare a casa. Non prima che Curato e Barbiere abbiano mandato al rogo tutti i suoi romanzi cavallereschi. Sic transit gloria mundi.
Ma non entrerà, e non passerà alla storia, l’onesto e volenteroso allestimento del “Don Chisciotte”, ispirato e adattato da Francesco Niccolini, protagonisti Alessio Boni (il Cavaliere senza macchia e senza paura) e Serra Yilmaz (Sancho).
Già aprire lo spettacolo, al Teatro Manzoni, al buio, con lo sconcertante rumore di un apparecchio di rianimazione, con cuore e battiti in parossismo, in una sala chirurgica, che all’apertura del sipario risulterà la camera di Don Chisciotte morente, non predispone gli animi a gloriose aspettative di generose avventure, mentre il Curato recita giaculatorie per morenti, tra pianti di pie donne. Ma subito dopo si scopre che non è il reale Don Chisciotte, che irrompe, incavolato nero, pronto a infilzare tutti con lancia e spada.
E qui, con il “vero” Don Chisciotte, comincerà l’eroica istoria in due tempi con un intervallo (un’ora e cinque minuti più un’altra ora scarsa). Ma poco prima del sipario conclusivo, ecco ancora i suddetti rumori ospedalieri, di cuori in rianimazione e di medici preoccupati, che si consoleranno andando a prendersi un caffè.
E Don Chisciotte morirà davvero. Senza troppi rimpianti. Nelle due ore di spettacolo, forse ci si aspettava di seguire ed essere coinvolti nelle mirabolanti avventure dell’hidalgo. Ma il teatro non è cinema.
Come illustrare, dunque, battaglie, scontri e botte da orbi? Facile. I vari capitoli delle lacrimevoli e poco eroiche storie saranno commentati da voci di scena o fuori campo, che spiegheranno gli sviluppi delle varie avventure, per concludersi, in scena, inevitabilmente nella scontata visione del Cavaliere, bastonato, gemente e piangente, ora caduto da Ronzinante o pietosamente assistito da Sancho.
Accontentarsi.
Ma comunque non è stato reso un buon servizio né a Cervantes né a un pubblico educato e ben disposto a tiepidi applausi, riconoscendo con simpatia la generosa partecipazione degli interpreti.

Al Teatro Manzoni, Milano: “DON CHISCIOTTE”, adattamento di FRANCESCO NICCOLINI, liberamente ispirato al romanzo di Miguel de Cervantes Saavedra. Drammaturgia di Roberto Aldorasi, Alessio Boni, Marcello Prayer e Francesco Niccolini. Con Alessio Boni, Serra Yilmaz, e con Marcello Prayer, Francesco Meoni – Pietro Faiella – Liliana Massari – Elena Nico, Biagio Iacovelli (Ronzinante). Scene Massimo Troncanetti, costumi Francesco Esposito. Repliche fino a domenica 30 gennaio.