MILANO, venerdì 10 novembre ► (di Paolo A. Paganini) Odi et amo, odio e amo, diceva, con triste tenerezza, Catullo in un suo famoso carme. L’amore, si sa, è un incomprensibile contrasto di sentimenti in contemporanea. I due contrapposti moti dell’anima, ora sono fatti di celesti entusiasmi, tal altra di lugubri macerazioni. Sono sempre accettati, come inevitabili, forse desiderati, come un imperdibile momento di un’età della vita. Che si ricorderà con dolcezza.
Ma nell’amore e nell’odio della “Guerra dei Roses”, da un romanzo di Warren Adler, già crudo e gaudente film dell’orrore, con Michael Douglas e Kathleen Turner, ed ora sul palcoscenico del Manzoni, con Ambra Angiolini e Matteo Cremon, non ha dolcezze da ricordare. È una guerra, e come tutte le guerre è spietata, all’ultimo sangue. I sentimenti, qui, non sono in contemporanea, hanno una precisa scansione, passando dall’amore all’odio, in una cruenta successione di agguati e rappresaglie. Catullo non c’entra più.
Una coppia di sposini ha tutto dalla vita, amore, lusso, raffinate comodità, preziosi e rari pezzi d’antiquariato. Lei è amata, adorata, coccolata, viziata dal marito, che le ha costruito un regno dove è regina; e, intanto, lui, nel mondo, va alla conquista di gloria e successi con la sua professione di avvocato. Ma, dopo diciotto anni, due figli, un gatto e un cane, l’adorata mogliettina rivendica il diritto alla libertà e alla realizzazione dei suoi sogni, che sono, tutto sommato, abbastanza modesti: fare della propria cucina un catering di ricercate prelibatezze, di cui è esperta. Il marito non ne vuole puntigliosamente sapere; lei si batte con strenua determinazione, che il marito sente come un insopportabile affronto ai tanti sacrifici da lui fatti per darle ricchezza e benessere. Lei lo manda al diavolo; lui rischia l’infarto. Lei se la prende con il cane del marito che tenta sempre di stuprarle l’adorata gattina. Vuole a tutti i costi che lui se ne vada di casa. Lui, nella casa comprata con i propri soldi, rivendica il diritto di rimanerci. Lei insiste, il marito (ormai l’odiato marito) che se ne vada, o peggio per lui. Fanno le pratiche per il divorzio.
Nel frattempo la guerra si fa dura e spietata. Lui le ammazza la gatta; e lei del cane farà polpette, non nel senso metaforico. Lei prepara per gli ospiti e futuri clienti dei manicaretti di cui va fiera; e lui mette nell’impasto un micidiale purgante. Lei; a colpi di mazza da baseball gli distrugge quel “dono-di-dio” ch’è la sua fiammante Ferrari, e manda in frantumi due preziose ceramiche adorate dal marito. Lui non le risparmia ogni sorta di colpi bassi. Lei tenta di ammazzarlo cuocendolo a vapore nella sauna di casa con la temperatura al massimo. Lui sega la balaustra del piano di sopra per farla precipitare. E che si rompa l’osso del collo…
Arrivati a questo punto, dopo due tempi, uno di un’ora e trenta, l’altro di trenta minuti, tutto precipita (ancora non nel senso metaforico) e amen…
Percorsa da una vena d’irridente follia, registicamente orchestrata con abile e disinvolta spregiudicatezza da Filippo Dini, la commedia, godibile e crudele, si fa apprezzare per un turbinoso gioco di battute e di trovate che sarebbero piaciute ad Agatha Christie, solo che qui non si deve aspettare la fine per sapere chi è l’assassino…
Ambra Angiolini, dolce e spietata, è la mogliettina che si batte in un’assurda guerra senza compromessi per rivendicare femministicamente il proprio diritto alla libertà. Ma il gioco si fa ambiguo quando diventa una guerra di proprietà per il possesso della casa. Brava, nel turbinio di una recitazione allegra e spigliata (con qualche compiacimento e qualche parolaccia di troppo). Matteo Cremon è il marito che scopre, dopo diciotto anni, di essere stato un cretino. Càpita. Lo fa con dignitosa partecipazione, mentre cerca di finire alla svelta la sua raccolta di preziosi vini che conserva in cantina. Ci si consola come si può.
A sancire la guerra dei signori Roses sono poi i due avvocati divorzisti, Massimo Cagnina ed Emanuela Guaiana, marginali ma di interessante ed apprezzata presenza, specie il Cagnina, che ricorda uno storico Nero Wolfe di Buazzelli. Almeno nella mole.
Molti applausi alla fine per tutti, e oneste risate strada facendo. Si replica fino a a domenica 26 novembre.
“La guerra dei Roses”, di Warren Adler. Con Ambra Angiolini, Matteo Cremon, Massimo Cagnina, Emanuela Guaiana. Regia di Filippo Dini. Scena di Laura Benzi. Musiche di Arturo Annecchino. Al Teatro Manzoni, Via Manzoni 42, Milano