Dopo i supereroi, ora i mostri. Si comincia con King Kong, che non è un remake. Dopo otto film, questo punta alto

(di Marisa Marzelli) Dopo la serializzazione dei film di supereroi, le Major hanno messo in cantiere quella dei mostri. Ora tocca al mitico King Kong, che in un già programmato sequel del 2020 incontrerà Gozilla.
Questo Kong: Skull Island (L’isola dei teschi) è sì il classico blockbuster farcito di effetti speciali digitali ma ha ambizioni più alte, sebbene non sempre ben realizzate. E non è il classico remake, è una ripartenza (reboot) che punta a dare interpretazioni nuove.
Attenzione al prologo, dove su una misteriosa isola, durante la seconda Guerra Mondiale due solitari soldati, uno americano e l’altro giapponese, prima si affrontano per uccidersi e poi restano allibiti dalla comparsa del gigantesco scimmione. Il più gigantesco dal suo arrivo sugli schermi (otto i film ufficiali a lui dedicati), che risale al 1933. Stacco e introduzione del racconto, ambientato negli anni ’70, al momento in cui le truppe USA abbandonano il Vietnam.
Con l’obiettivo scientifico di raggiungere un’isola tropicale ancora sconosciuta perché sempre avvolta dalla tempesta, si forma un eterogeneo team di esploratori. Ci sono il ricercatore di un ente paragovernativo (John Goodman) con il suo vice, un ex-militare inglese riciclatosi come guida (Tom Hiddleston, l’interprete di Loki nei cinefumetti Marvel), una fotoreporter a caccia di scoop (Brie Larson) e alcuni militari appena usciti dall’inferno vietnamita, guidati da un colonnello guerrafondaio (Samuel L. Jackson). Raggiunta l’isola, gli elicotteri vengono attaccati da Kong, che non prende bene l’intrusione e ne abbatte diversi. I nostri eroi (almeno i sopravvissuti, naturalmente i personaggi principali) si ritrovano separati in zone diverse, con l’obiettivo di riunirsi in un punto prefissato per farsi raccogliere dai velivoli di soccorso nel frattempo allertati.
La prima anomalia narrativa sta nel fatto che Kong, alto come un palazzo, viene subito svelato in tutta la sua potenza. Cosa resterà da scoprire nelle quasi due ore restanti di film? Molte sorprese. Intanto, un troncone del gruppo finisce in un villaggio di aborigeni dove vive da anni il soldato americano della seconda Guerra Mondiale visto nel prologo (John C. Reilly). Costui spiega che i nativi considerano Kong un dio e il loro protettore contro pericolose creature delle viscere della terra. Infatti, la giungla svela bufali, piovre, ragni, uccelli predatori tutti sovradimensionati e soprattutto gli strisciateschi, lucertoloni con la testa scarnificata (una variante dei dinosauri di Jurassic Park), nemici giurati di Kong.
Cominciano a delinearsi elementi metaforici rispetto alla pura action; una componente in genere assente nei kolossal votati all’intrattenimento. L’isola, con il suo carico di segreti, può rappresentare i misteri della natura inviolata, i cui (anche crudeli) equilibri vengono alterati dall’irrompere dell’uomo. Quindi c’è una traccia ecologista. D’altra parte, si insiste sul militarismo spinto sino alla follia del colonnello (contrapposto al pacifismo della fotoreporter). E qui, Kong cita a piene mani Apocalypse Now. Con riferimenti al Vietnam, il lungo viaggio in battello e il fatto che gli abitanti venerano lo scimmione come avveniva con il colonnello Kurtz di Marlon Brando nel film di Coppola (con l’aggiunta, per chi non avesse capito, che il personaggio di Hiddleston si chiama Conrad), l’insistente colonna sonora di musiche degli anni ’70.
Nella seconda parte questi elementi metaforici però si diluiscono molto, lasciando spazio alla pura azione. E se aspettate la scena iconica di Kong che prende delicatamente la Bella nel palmo della mano, arriva anche quella, in una versione inedita.
Certo, da un pop corn movie di mostri non si possono pretendere più di tanto le raffinatezze cinefile (alcuni personaggi sono stereotipati o solo abbozzati, i dialoghi sono elementari) ma Kong: Skull Island offre anche avventure senza pause o momenti morti, paesaggi stupendi (location alle Hawaii, Vietnam e Australia), un racconto coerente e un riuscito mix tra fotografia ed effetti speciali digitali.