MILANO, mercoledì 23 gennaio ►(di Emanuela Dini) La libera versione teatrale di “Cuore di Cane” di Michail Bulgakov, riscritta da Stefano Massini e messa in scena al Piccolo Teatro con la regia di Giorgio Sangati, è un signor spettacolo, imponente e inquietante, lungo in tutto 2 ore e 20 più un intervallo di 20 minuti, che cresce progressivamente, acquistando spessore, ritmo, inquietudine e tragicità di minuto in minuto.
La storia è semplice nel suo candore quasi favolistico: un chirurgo potente e ambizioso sostiene di poter arrestare l’invecchiamento trapiantando l’ipofisi di uomini giovani nel corpo dei vecchi («Modifichiamo la genesi dell’uomo creando la giovinezza»). Per allenarsi, si esercita su un cane, un randagio malmesso, ma l’esperimento va oltre le sue aspettative e l’animale si trasformerà man mano in “umanoide”, imparando a parlare, ragionare, argomentare, pretendere e ribaltando tutte le certezze e i principi saldamente borghesi del professore. Ma…
Il testo di Bulgakov (1891-1940) venne scritto nel 1925, ma non ottenne il visto del regime e vide la luce solo dopo la morte dell’autore, prima nel 1967 nel mondo occidentale, e poi in Unione Sovietica ben vent’anni dopo, nel 1987.
Cosa c’era di così tremendo in questa “favoletta”? C’è tutta la critica a quello che di marcio e di ipocrita si nasconde nella società bolscevica; c’è il ritratto della borghesia benestante che ben se ne guarda dal rinunciare ai propri privilegi (case grandi, cibi raffinati, domestici in quantità); c’è l’accusa alle brame di onnipotenza di chi vuole creare e plasmare l’uomo nuovo; c’è la metafora della situazione politica, con Lenin morto nel 1924, Stalin sulla rampa di lancio, la sovietizzazione in pieno svolgimento ma le enclave borghesi ancora intoccabili; c’è il senso di giustizia che poi sfocia in arroganza e voglia di far carriera dell’ex cane diventato uomo; c’è «il quadro di una società corrotta e malsana che vince sulla luminosa utopia rivoluzionaria, e il riso è amaro», come fa notare Gian Piero Piretto, docente di cultura russa all’Università degli Studi di Milano nel bellissimo testo pubblicato sul programma di sala; c’è un’ironia sottile persino nei nomi dei personaggi, il cane diventato uomo che si fa registrare all’anagrafe col cognome di Poligraf Poligrafovic, dove il cognome è una sintesi tra Polizia e Anagrafe e sottolinea la moda sovietica per i nomi “politicamente corretti”, lontani da reminiscenze ecclesiastiche e vicini alla Pubblica Amministrazione, e il professore Preobražénskij prende il nome dalla festa religiosa della Preobraženie, cioè della Trasfigurazione.

Paolo Pierobon, Sandro Lombardi, Lorenzo Demaria, Bruna Rossi, Lucia Marinsalta in una scena di “Cuore di cane” (foto Masiar Pasquali)
E poi c’è lo spettacolo sul palco. Teso e vibrante, con una scena che nel primo atto è cantina, laboratorio, angolo di strada e nel secondo diventa casa borghese con argenteria a tavola e lampadari di cristallo. Con costumi anni ’20 che a tratti hanno inquietanti rimandi a camicie di forza e strumenti di tortura e costrizione dei manicomi; con luci che squarciano la scena e a tratti illuminano la sala; con un’interpretazione a dir poco straordinaria di Paolo Pierobon – il cane che diventa essere umano – e il suo ringhiare, ululare, mugolare e poi il lento, tenace, sofferto, trionfale appropriarsi del linguaggio e del potere della parola, che esercita con una logica dapprima infantile e spiazzante poi, man mano, sempre più proterva e dirompente, in un’evoluzione che vedrà il professore perdere il controllo sulla sua “creatura” e un gattopardesco finale amaro che riporta tutto a “come era prima”.
Uno spettacolo intenso, una grande prova per tutti gli attori, con Pierobon più volte applaudito a scena aperta e calorosi applausi finali da parte di una sala strapiena.
“Cuore di cane”, di Stefano Massini, regia Giorgio Sangati, libera versione teatrale dal libro di Michail Bulgakov, scene Marco Rossi, costumi Gianluca Sbicca. Con Paolo Pierobon (Pallino, la cavia), Sandro Lombardi (Il prof.Filìpp Filìppovič Preobražénskij), Giovanni Franzoni (Il dottor Ivàn Arnòl’dovič Bormentàl’, suo braccio destro), Bruna Rossi (Darj’a Petrovna, cuoca), Lucia Marinsalta (Zina Prokof’evna, giovane cameriera), Lorenzo Demaria (Commissario del Popolo). Al Piccolo Teatro Grassi, Via Rovello 2, Milano. Repliche fino a domenica 10 marzo.