MILANO, giovedì 4 febbraio ► (di Paolo A. Paganini) Già Arthur Miller, quando conobbe la storia dalla quale trasse il dramma “Uno sguardo dal ponte” (1955), ebbe a confidare di aver avuto l’impressione di averla già conosciuta, tanto tempo prima, come fosse un mito greco. Annotazione dal saggio di Andrea Bisicchia in occasione dell’edizione interpretata da Sebastiano Lo Monaco, nel 2004, ultimo allestimento, che io sappia, prima di quest’ultima ripresa, ora al Carcano (un’ora e trentacinque senza intervallo), con Sebastiano Somma, popolare attore in fiction televisive di successo, nella “storica” parte di Eddie Carbone.
Inutile entrare nel dettaglio della tragedia, vista la grande risonanza che ebbe fin dal ’58, allora firmata da Luchino Visconti, con Paolo Stoppa, Rina Morelli e, tra gli altri, Ilaria Occhini e Sergio Fantoni. Poi, nel ’59 Raf Vallone (nel ’73 anche in TV). Nell’83 Gastone Moschin. Nel ’95 Michele Placido…
Ciascuno ci ha messo qualcosa di suo, muscolarizzandola, intellettualizzandola, adattandola o storicizzandola. Allo stesso testo di Miller, ch’è un capolavoro di “classicità” – ormai nessuno ci prova a contestarlo -, traduttori e registi, fin dai tempi di Visconti, han voluto modificare il marchio di qualità, sia per quanto si riferisce alla lingua con qualche siculo adattamento (anche l’originale peraltro ne è caratterizzato), sia accentuando l’intrinseca sicilianità in una vera e propria trasposizione sicula, con qualche riferimento a una specie di Cavalleria rusticana, con tanto di “hanno ammazzato compare Turiddu”. Al posto di Turiddu, metteteci l’Eddie Carbone di Miller, e fa lo stesso. E se nella “Cavalleria” c’è Lola di compare Alfio, nello “Sguardo dal ponte” c’è Catherine, la nipote di Eddie, da lui cresciuta come una figlia, e poi vergognosamente concupita.
Eppure, non è soltanto la storia di una tragica passione. In questa vicenda di migranti siciliani in terra americana, c’è anche il senso dell’onore, c’è il disprezzo della loro comunità per il delatore (Eddie, fuori di sé dalla gelosia, ha denunciato il giovane ospite siciliano, Rodolfo, all’Ufficio Emigrazione, come clandestino per farlo rimpatriare e allontanarlo da Catherine che ama riamato), c’è il saldo legame, la solidarietà degli immigrati in terra straniera, c’è l’atavica mentalità dei protagonisti, che conservano le tenaci tradizioni della terra lontana, la nostalgia e il desiderio del ritorno.
Tutto questo fa parte della magica atmosfera in cui si svolge il dramma di Eddie, una specie di padre-padrone, ignorante scaricatore di porto, che ha conquistato duramente la sicurezza del lavoro e della proprietà, compreso il possesso dei sentimenti delle sue donne di casa, la moglie, che si rende conto dell’insana passione del marito per la nipote, e la nipote stessa, cresciuta, coccolata, amata da piccina, e ora, donna formata, desiderata come “naturale” sviluppo affettivo nella progressione da un sentimento a un altro. La roba non si tocca. Quindi giù le mani anche da Catherine. Troppo tardi. Nella vana ricerca del perduto onore, non eviterà nemmeno una inutile perdita della vita.
Dramma moderno dal respiro classico, in un incalzare tragico e solenne, c’è anche un personaggio narrante, l’avvocato Alfieri, come parafrasi dell’antico Coro greco, che commenta i tristi e sciagurati casi dei tanti immigrati, scaricatori nel porto di New York, e narra anche la storia del possessivo Eddie Carbone.
Personaggio non marginale,questa dell’avvocato Alfieri, ha ora consentito al regista Enrico Maria Lamanna di storicizzare la tragedia di Miller, come una storia degli anni Cinquanta raccontata oggi dall’avvocato. Personalmente lo ritengo un abuso di potere. Soprattutto perché inutile. La “classicità” del dramma di Miller consente e sopporta un rispetto socio-filologico, che non necessita di trasposizioni. Ma l’operazione ha consentito anche di adottare in toto la lingua siciliana, ancorché morbidamente italianizzata, con il sospetto di una ghettizzazione, staccandola da quell’universalità, che si estende, ieri come oggi, a tante tragedie dell’emigrazione, sicule, greche o siriane che siano. Ma sia questo sia l’altro intervento registico non sminuiscono l’impatto emotivo che “Uno sguardo da ponte” sempre procura. Quindi saremo indulgenti anche sull’eccessiva drammatizzazione della colonna sonora e sopporteremo il modesto apparato scenico: una specie di ring dove avviene lo scontro mortale dell’egoismo, dell’intolleranza, della prevaricazione e della violenza.
Ma per quanti vorranno apprezzare il testo e la recitazione, lo spettacolo è bellissimo, e con tutti gli interpreti precisi e rispettosi dei ruoli. A cominciare da Sebastiano Somma, una vera sorpresa, che non fa invidiare nessuna passata interpretazione. Bestia docile e vinta, più vigliacca che violenta, il suo Eddie Carbone suscita, nonostante tutto, tenerezza e pietà. Un elogio sincero. E, in doverosa segnalazione di stima, citeremo Cecilia Guzzardi, una Catherine prima timida e sottomessa, poi sicura e determinata nel difendere il suo giovane amore, Rodolfo, interpretato da Edoardo Coen, che possiede un encomiabile senso della misura. E poi: Roberto Negri (l’avvocato Alfieri), Sara Ricci (la moglie), e Andrea Galatà, Matteo Mauriello, Antonio Tallura.
Pubblico soddisfatto, convinto e plaudente.
“UNO SGUARDO DAL PONTE”, di Arthur Miller – Traduzione Masolino D’Amico – Con Sebastiano Somma. Regia Enrico Maria Lamanna – Teatro Carcano – Corso di Porta Romana 63, Milano. Repliche fino a domenica 14 febbraio
www.teatrocarcano.com