
Una foto di scena di “Go. Go. Go.”, di Aleksandr Sokurov, al Teatro dell’Arte. Al centro: Elia Schilton nel ruolo del poeta Brodskij.
MILANO, sabato 8 ottobre – (di Paolo A. Paganini). Al CRT Teatro dell’Arte, alla Triennale, c’era chi giurava che Aleksandr Sokurov fosse il più grande regista cinematografico contemporaneo. Personalmente, non ho sufficienti elementi di giudizio. Ma sta di fatto che alla prima di “Go Go Go”, esordio teatrale del regista russo nella prosa, il Teatro di Viale Alemagna era considerevolmente affollato.
Il che ci ha riempiti di grata soddisfazione, noi che abbiamo seguito la storia del Teatro dell’Arte da quasi cinquant’anni, da quando Strehler diceva, a mo’ di condanna. “Di questo teatro i milanesi non ne vogliono sapere: parco troppo buio e mal frequentato” (il suo linguaggio era in verità ben più colorito, ma fermiamoci qui).
Veniamo a Sokurov, autore e regista teatrale.
Intanto, il singolare titolo inglese, questo Go alla terza, che vuol dire “via” tre volte: in questa strana e avvincente storia, esorta, tutto sommato, a scelte esistenziali ben più complesse, qui sintetizzate in un esplicito invito a togliere le tende, ad andar via da questo mondo becero, consumista, dove la cultura rimane un sogno, o una nostalgia. A interpretare questa angoscia sono due mostruosi toponi antropomorfizzati, due esseri di parossistica avidità, non solo di formaggio, ma anche di preziosi incunaboli, di rari documenti storici, di filmiche pellicole da cineteca. Tutto è masticabile, divorabile, triturabile. Seppur da due mascelle di diversa assoporazione mangerecca: il topone Tullio, avido e filosofeggiante romanaccio (Max Malatesta) è un epicureo che affabula amaramente di una cultura ormai scomparsa; e l’altro topone, Publio (Michelangelo Dalisi), si interessa cinicamente di soddisfazioni gastriche.
Ma si scambiano volentieri le rispettive inclinazioni genetiche.
Finiranno per troppa avidità – metafora di una stordita umanità – in una trappola per topi, attratti dall’inestinguibile voglia di formaggio, finendo a loro volta triturati…
Questo grosso modo, perché, in realtà, questo straordinario spettacolo, originale e innovativo (che potrà essere studiato, analizzato, destrutturato in altre sedi), si avvale di (almeno) tre piani drammaturgici, simbioticamente incuneati in un tutt’uno di armonica fusione (sullo spazio scenico magistralmente creato da Margherita Palli, in un ambiente di fumogene atmosfere meridionaleggianti).
Il primo piano è quello dei toponi, che fanno da intrufolate e pestifere presenze in un ristorante all’aperto su una tipica piazza italiana, dove una quarantina di personaggi (secondo piano drammaturgico) assiste su grande schermo alla proiezione di “Roma” (1972), film di truculento lirismo satirico di Federico Fellini (terzo piano di lettura).
Se il nostro lettore ora pensa che questi tre piani rappresentino un immane pastrocchio, sarebbe fuori strada. La grandezza cinematografica di Sokurov diventa, in poco più di un’ora, un sincronico tripudio teatrale di festa popolare, di voci, di suoni, di canti trasteverini (ma intonano in coro anche un “Pippo non lo sa”). A tutto questo si aggiungano l’arte e la finissima cultura socio-politica di Sokurov, che arricchisce il tutto con la presenza scenica del poeta russo Iosif Brodskij, Nobel nell’87 (l’idea portante dello spettacolo è tratta liberamente da “Marmi”, e l’allestimento vuol essere anche un omaggio al poeta nel ventennale della morte), qui con testi e versi recitati, e ironicamente impersonati, en passant, da Elia Schilton.
Calorosi applausi alla fine, per i più di quaranta personaggi tra interpreti e comparse, e per lo stesso Sokurov, fugacemente in scena.
“GO. GO. GO”, liberamente ispirato a Marmi e altri testi di Iosif Brodskij. Progetto e regia Aleksandr Sokurov – testi originali e adattamento scenico di Aleksandr Sokurov e AlenaShumakova. Con Max Malatesta (Tullio) e Michelangelo Dalisi (Publio), con la partecipazione di Elia Schilton (Iosif Brodskij), e con Olivia Magnani, Karina Arutyunyan, Paolo Bertoncello, Alessandro Bressanello, Giulio Canestrelli – Teatro dell’Arte, Triennale di Milano, Viale Alemagna, 6 – 20121 Milano. Repliche dal 7 al 30 ottobre 2016