Duello Frost/Nixon all’Elfo Puccini, e alla fine le falsità del Presidente vennero a galla

Milano. Elio De Capitani (Nixon), Ferdinando Bruni (David Frost) e Alejandro Bruni Ocaña (Jim Reston) all’Elfo Puccini (foto Laila Pozzo)

Milano. Elio De Capitani (Nixon), Ferdinando Bruni (David Frost) e Alejandro Bruni Ocaña (Jim Reston) all’Elfo Puccini (foto Laila Pozzo)

(di Paolo A. Paganini) L’affaire Nixon/Watergate: la più scabrosa e imbarazzante vicenda politica di tutta la storia degli Stati Uniti. Fu uno scandalo di corruzione e di arroganza del potere. Nel 1972 coinvolse l’allora Presidente Richard Nixon, costretto a dimettersi il 9 agosto 1974 – dopo due anni di menzogne e di feroce autodifesa – per evitare di essere dichiarato “decaduto” dalla Camera dei Rappresentanti. Lo scandalo, di cui parlarono i giornali di tutto il mondo (vennero successivamente prodotti anche celebri film) prese il nome dal complesso edilizio di Watergate, a Washington, dov’era la sede del partito democratico. Qui vennero effettuate abusive intercettazioni telefoniche, che diedero inizio a tutta la vicenda, da alcuni giudicata peraltro pretestuosa, soprattutto voluta per demolire il Presidente Nixon, compromesso dal proseguimento della guerra in Vietnam, dalle stragi in Cambogia, ma soprattutto impopolare fra il pubblico americano e non più sostenuto dalle élite economiche e dai poteri bancari. Abile insabbiatore di prove, di documenti e registrazioni compromettenti, Nixon, dunque, per evitare un sicuro impeachment, si dimise, senza mai ammettere sue dirette responsabilità e fare dichiarazioni di colpevolezza. Ma nel 1977, lusingato dall’idea di tornare alla vita pubblica e di rifarsi una virginità politica, accettò di farsi intervistare da David Frost, abile intervistatore televisivo, ma più legato al mondo dell’intrattenimento che non a quello politico. Nixon lo considerò abbastanza innocuo, e infatti le prime tre della quattro puntate televisive, furono dei match a pieni voti a favore di Nixon. Ma un insperato colpo di fortuna, proprio nella puntata conclusiva, fornì a Frost la prova inequivocabile di alcune decisive e compromettenti registrazioni telefoniche scomparse: Nixon, con le spalle al muro, dovette capitolare. Distrutto, ammise colpe e menzogne, domandando scusa al popolo americano.
Tutta la vicenda storico/politica, così come ne abbiamo brevemente fatto memoria, è ora in scena all’Elfo Puccini, nell’interpretazione protagonistica di Elio De Capitani (Nixon) e Ferdinando Bruni (Frost), in quasi due ore di spettacolo seguite col fiato sospeso. Un’alta e civile prova di teatro/documento (emblematicamente didattica, a ben vedere, anche per nostrane vicende politiche!). De Capitani, abile divagatore in un’esemplare prova di ambigui moroteismi, è assolutamente convincente e di straordinario fascino dialettico. Ferdinando Bruni, nel ruolo di Frost (scomparso, fra parentesi, proprio l’agosto scorso), schiacciato dal dialettico confronto con Nixon, si è sornionamente sottratto, rendendosi conto che, anche da un punto interpretativo, non sarebbe stato corretto sopraffare o competere con De Capitani: uno squisito esempio di contenuta padronanza, salvo l’unghiata finale in cui metterà al tappeto un ormai stremato e vinto Nixon, suscitando un sentimento più di patetica commozione che di catartica condanna. Bene tutti gli altri personaggi “politici” e mediatici, da Luca Toracca a Alejandro Bruni Ocaña, e poi Claudia Coli, Matteo De Mojana, Andrea Germani, Jack Brennan. Ben distribuita in compiti e responsabilità la regia degli stessi Bruni/De Capitani.

Si replica fino a domenica 10 novembre.