E al Piccolo Teatro, con la regia di Rifici, la Resistenza di “Uomini e no” sembra un gioco alla guerra tra buoni e cattivi

Elena Rivoltini e Salvo Drago in una scena di “Uomini e no”, di Vittorini (foto Masiar Pasquali)

MILANO, venerdì 27 ottobre ► (di Paolo A. Paganini) Scritto durante la Resistenza, “Uomini e no”, di Elio Vittorini, fu pubblicato nel 1945, ancora a caldo dei tragici avvenimenti del 1944, l’annus horribilis (ch’è peraltro il titolo d’un illuminante libro di Giorgio Bocca, 2010) delle città del Settentrione, devastate dai bombardamenti, mentre gli Americani risalivano la Penisola e i fascisti e i nazisti si incattivivano sempre più in una disperata reazione di fucilazioni sommarie, di oltraggiose esibizioni dei “giustiziati” sui marciapiedi, di vendicative rappresaglie tedesche, di torture, di repressioni, di sanguinose crudeltà, tra macerie, fame, famiglie senza casa.
Il romanzo di Vittorini risente, con distaccato realismo, di questa Milano del 1944. Tra cronaca e storia non entra direttamente nel merito, preferisce sublimarlo in una metafisica del dolore, trasfigurandolo, limitandolo in un impianto parcellizzato fra uomini alla ricerca di giustizia, o di verità, o di se stessi. Più della storia e della cronaca, in questa città del dolore, distrutta, lacerata da attentati, da lotte clandestine, da vendette e persecuzioni, Vittorini preferisce addentrarsi in una filosofia del perché delle scelte personali, in una introspezione psicologica di questi uomini della Resistenza in opposizione alla barbarie nazifascista. E soprattutto segue, con più intensa partecipazione, il dramma privato del comandante partigiano Enne 2, un intellettuale di estrazione borghese, militante comunista (parafrasi di se stesso, dello stesso Vittorini), ricercato dalla polizia ed ora asserragliato nella sua stanza, dove attende il famigerato Cane Nero, il feroce capo dei repubblichini, che sta arrivando per arrestarlo. Enne 2 sa di andare incontro alla morte. Ha la possibilità di salvarsi, di fuggire. Ma, sfibrato nella volontà ed anche per ribadire la sua superiorità morale, rimane, aggrappato a un’ultima illusione: rivedere Berta, il suo grande e ricambiato amore, un amore tuttavia impossibile, vissuto in una esaltazione disperata, trasfigurata, irrazionale, mitizzata. Che va oltre la guerra, oltre la vita, oltre la morte. Perché da una parte c’è la violenza, dall’altra c’è l’umanità. Insomma “uomini e no”, chi è umano e chi non lo è.
Il romanzo di Vittorini, senza avere i caratteri eccelsi dell’immortalità, è tuttavia uno dei primi romanzi sulla Resistenza (per esempio,”Il sentiero dei nidi di ragno” di Italo Calvino è del 1947, e addirittura “Il partigiano Johnny”, di Beppe Fenoglio, viene pubblicato postumo nel 1968). Anche il cinema volle appropriarsene, con un film girato, con feddo interesse, da Valentino Orsini, che, nel 1980, ne fece un lavoro di maniera, diseguale e di basso costo, mediocremente giudicato da pubblico e critici. Ma, d’altra parte, lo stesso romanzo di Vittorini aveva faticosi limiti strutturali, con i suoi 136 mini-capitoli, alcuni dei quali scarsamente pertinenti, con interruzioni colloquiali e riflessioni d’autore.

Ora, dopo il cinema, il romanzo tenta anche la strada del teatro.
Al Piccolo Teatro Studio, diciassette neodiplomati della scuola del Piccolo, con la regia di Carmelo Rifici, direttore della stessa scuola, portano in scena “Uomini e no” (che è stato materia di studio e saggio di fine anno). In due tempi (55 minuti e un’ora e dieci), diciamo subito che questi ragazzi, che hanno pressappoco l’età dei protagonisti del romanzo, hanno affrontato il difficile e squilibrato lavoro tratto da Vittorini con grande e generosa partecipazione e promettente professionalità. I limiti stanno solo nella logorroica riduzione di Michele Santeramo e nella regia di Carmelo Rifici, che s’è buttato in questa perdente avventura come fosse un’opera di Shakespeare e non un saggio storico psicologico letterario d’un autore, che forse tentava sperimentalmente nuove strade espressive controcorrente con discutibili stilemi antirealistici. Rifici, che sorvola sui grandi temi della Resistenza, dell’oppressione nazifascista e sulle follie di quella guerra civile (conclusasi in Piazzale Loreto con quella macabra esposizione dei gerarchi fascisti, là dov’era avvenuta l’esecuzione di quindici partigiani, con i loro cadaveri poi esposti in pubblico), ha seguito i tracciati di Vittorini tra speculazione filosofica e analisi psicologica. Il risultato è che sembra che questi diciassette ragazzi del Piccolo, tra amori e attentati ai quali nessuno crede, stiano giocando a una guerra tra buoni e cattivi. Mentre sulla scena campeggiano i due tronconi di un tram tagliato a metà. Simbolo d’una città spaccata. E divisa fra “uomini e no”.

“Uomini e no”, di Michele Santeramo, tratto dal romanzo “Uomini e no” di Elio Vittorini, con la regia di Carmelo Rifici. Al Piccolo Teatro Studio Melato (Via Rivoli 6, Milano). Repliche fino a martedì 19 novembre. Informazioni e prenotazioni 0242411889

www.piccoloteatro.org