(di Marisa Marzelli) Del noir scandinavo conosciamo tutti almeno la Trilogia Millennium di Stieg Larsson e il commissario Kurt Wallander, protagonista di una serie di romanzi di Henning Mankell. Ma è un autore di best-seller anche il norvegese Jo Nesbo. Il suo poliziotto Harry Hole, con problemi di alcol e fuori dagli schemi, però dall’ottimo fiuto per stanare criminali, è protagonista di undici romanzi.
Uno di questi è L’uomo di neve (2007), edito in italiano da Piemme. Il film che ora ne è stato tratto aveva interessato persino Martin Scorsese che poi, per varie ragioni, ha rinunciato alla regia, rimanendo però produttore esecutivo. La regia è passata allo svedeseTomas Alfredson, noto per due film di pregio come il vampiresco Lasciami entrare (2008) e La Talpa (2011) tratto da Le Carré.
L’uomo di neve è un thriller classico piuttosto cruento, ambientato nei gelidi inverni del Nord (bellissime riprese tra l’altro a Oslo, Bergen e in ampie suggestive distese ghiacciate).
Il detective Hole (ha il volto adatto di Michael Fassbender) si presenta sulle prime come il classico personaggio stropicciato che ha visto giorni migliori e sembrerebbe avviato a una malinconica deriva. Indulge troppo alla bottiglia e l’unica donna che abbia davvero amato (Charlotte Gainsbourg) sta per sposarsi con un altro. Ma quando cominciano a scomparire madri single e contemporaneamente compaiono davanti alle loro case inquietanti pupazzi di neve, lo spirito del segugio di razza si rimette in pista. Comincia a sospettare la presenza di un serial killer che colpisce da anni e sempre all’arrivo delle nevicate.
Attenzione alle sequenze iniziali, dove viene raccontato un episodio del passato che sembrerebbe non essere collegato con le vicende del plot. L’uomo di neve procede presentando una serie di personaggi e situazioni apparentemente scollegati tra loro che cominciano a disegnare i frammenti di un puzzle ancora indefinito. E anche un po’ complicato da ricostruire. Il film gioca molto sui dettagli (alcuni significativi, altri no) e soprattutto sulle false piste, disseminate con destrezza. Sempre tenuta alta la suspence mentre le tessere cominciano ad incastrarsi e infine lo scioglimento dell’enigma si rivelerà tutto sommato semplice e logico, ad un certo punto persino prevedibile. Il racconto però è concatenato in modo da non focalizzarsi esclusivamente sulla scoperta del colpevole.
Perché, come già suggeriva ai suoi tempi l’Amleto shakespeariano con quel “c’è del marcio in Danimarca”, ripreso a piene mani dagli scrittori degli odierni gialli nordici, i Paesi scandinavi, così esemplari nel loro essere ordinati e democratici, covano (forse non solo nell’inconscio) anime nere di pregiudizi e violenza sociale.
L’uomo di neve si presenta come un prodotto molto classico, forse non particolarmente profondo ma realizzato impeccabilmente. Bene il reparto attoriale che comprende anche Rebecca Ferguson, Chloë Sevigny, il bravo caratterista americano J. K. Simmons (premio Oscar 2015 come non protagonista di Whiplash), gli inglesi Toby Jones e James D’Arcy e un irriconoscibile Val Kilmer.
E, all’arrivo della prima neve, scatta l’appuntamento con la morte. Un cruento noir norvegese col poliziotto Harry Hole
12 Ottobre 2017 by