(di Andrea Bisicchia) Che cos’è la fede? Banalmente si potrebbe rispondere: avere fiducia in qualcuno, ma nel caso si volesse tendere all’assolutezza, a qualcuno che ci trascende. Come raggiungerla? È sufficiente utilizzare la preghiera o mettere in pratica i dogmi delle religioni, abbandonandosi alle dottrine, alla disciplina, al sacrificio? Si tratterebbe di istanze immateriali, di mezzi, attraverso i quali raggiungere, in solitudine, Colui in cui si crede. Tutto ciò è sufficiente?
Secondo Ugo Fabietti, docente di antropologia, la risposta è negativa, perché, a suo avviso, senza una dimensione materiale, senza, cioè, la presenza di oggetti, di immagini, di artefatti, di corpi, non è possibile aspirare concretamente alla trascendenza. Sappiamo che esiste una fede mistica che rifiuta il contatto col mondo delle cose, ma se la fede la si vuol vivere in forma di partecipazione, secondo Fabietti, è necessario ricorrere alla sua materialità. Allora mi sembra opportuno chiederci quale rapporto esista tra fede e religione, e capire in che modo l’una possa dipendere dall’altra, pur riconoscendo le difficoltà della contaminazione, essendo la fede un prodotto immateriale, mentre la religione è un prodotto istituzionale e, pertanto, sottoposto alle leggi della disciplina, dell’autorità, soprattutto in un epoca, durante la quale, il dualismo ontologico corpo-anima, spirito-materia, non è più sufficiente per accedere all’invisibile e all’inconoscibile.
Nell’era del secolarismo imperfetto, è la materialità a proporsi come intermediario tra l’umano e il divino, proprio perché, solo attraverso il corpo, è possibile percepire l’alterità. Secondo Fabietti, l’elemento materiale della religione non è da considerare un semplice corredo destinato al culto, bensì qualcosa di intrinseco all’esperienza religiosa.
Come si concretizza la religione se non attraverso la liturgia e la ritualità? Ma sia l’una che l’altra non sono, forse, da ritenersi dei fenomeni sociali? Non si esplicano attraverso le feste, le offerte, le processioni? E queste, benché guidate da un sacerdote, non vengono realizzate dagli uomini? Come dire che la religione non può fare a meno dell’apporto sociale, trattandosi di una pratica, attraverso la quale, immagini, oggetti, segni, corpi, risultano necessari per creare la dimensione della trascendenza.
Se Papa Francesco prepara un Sinodo sulla Misericordia, poiché compito della religione è predicare la mitezza, la pace, l’amore, ci si chiede come mai la religione ricorra spesso alla violenza per pervenire alla trascendenza? A questo punto più che di religione bisognerebbe parlare di religioni, ovvero di legami che rivendicano una identità, una appartenenza, in nome delle quali ciascuna può vantare un sistema di comportamenti che favorisce i conflitti, proprio perché ogni religione, più che una ideologia, una disciplina, propone una sua materialità, una sua gestualità che la rende diversa dalle altre, sebbene possano esistere delle contiguità tra il mondo delle cose e quello del trascendente.
Ugo Fabietti,” Materia sacra” – Cortina Editore, 2015 – pp 306 – euro 25