E, da Napoli a Palermo, per far rispettare la sicurezza pubblica, lo Stato si serve di “esperti”: mafiosi e camorristi

la mala setta(di Andrea Bisicchia) Accade, spesso, che la letteratura o il teatro anticipino fatti di cronaca o cerchino di esserne i primi testimoni, tanto che, tra fiction e realtà, il limite diventa marginale. In uno studio che parte da una simile consapevolezza, Francesco Benigno, docente di Metodologia della Ricerca storica, intende fare chiara luce sulla nascita del fenomeno mafioso e su come si sia diffuso nel periodo che va dall’Unità d’Italia, alla nascita della Sinistra storica, ben riassunto nel titolo: “La mala setta. Alle origini di mafia e camorra,1859-1878”, Einaudi, una documentazione precisa che ha come obiettivo un ventennio, durante il quale, le esperienze politiche si sono caratterizzate per le sottomissione allo straniero, in particolare, ai Borboni, intrecciate con aneliti di libertà e di speranze dopo la conquista dell’unità d’Italia. Sono anni bui, di sottocultura, di arretratezze, di bisogni primari, di tanta povertà, quella che autorizza la nascita delle “Classi periferiche”, che, in breve tempo, si trasformeranno in “Male sette”.
L’autore divide il suo lavoro in otto capitoli, con Introduzione e conclusione, utilizza una metodologia storiografica altamente scientifica, con ricchi apparati bibliografici, concentrandosi sul periodo indicato, ma lasciando al lettore la possibilità di fare comparazioni con l’oggi. Essendomi occupato del fenomeno mafioso in “Teatro e mafia 1861-2001”, ho fatto risalire a un testo teatrale, “I mafiosi di la vicaria” (1861), di Rizzotto, citato da Benigno, le origini di quanto accadeva nelle carceri nostrane, vere e proprie fucine di mafiosi e camorristi. Se io ho analizzato tutti i testi di teatro che hanno affrontato un simile argomento, Benigno ha studiato gli eventi criminosi che hanno generato il fenomeno, che fa risalire al 1856, al primo scandalo dell’Unità d’Italia, quello del caso Cibolla e della banda sanguinaria che imperversò a Torino negli anni Cinquanta, raccontata anche da Milo Julini, che estese il periodo fino al 1861. Benigno, facendo riferimento ai Misteri di Parigi, li estende a quelli di Napoli e di Palermo, al rapporto vigente tra bande criminali e polizia, ai fatti di ribellione, di banditismi, di spionaggi, di infiltrazioni, di avventurieri, di pugnalatori (vedi il racconto di Leonardo Sciascia), di una politica, insomma, che stenta a far rispettare la legge e che, per farlo, sarà costretta ad arruolare “individui pericolosi” e a ricorrere a camorristi, i cui luoghi deputati erano proprio le carceri, le bische, le case di appuntamento, la strada.
A questo punto, per giustificare lo stato di arretratezza, è bene ricordare che in quegli anni su 22 milioni di italiani soltanto il due per cento sapeva leggere e scrivere, che “cittadini” erano il sette per cento, che il 93 per cento erano ladri, contadini, soldati che passavano da una banda all’altra, da quella garibaldina a quella borbonica, mentre alla dipendenza di latifondisti e aristocratici si mettevano mafiosi e camorristi. Per ben conoscere il fenomeno sarebbe sufficiente leggere le pagine dell’inchiesta  Franchetti- Sonnino, quelle di Giuseppe Along(1886) o dello stesso Don Sturzo, un decennio successivo. Ne viene fuori il ritratto di una particolare Italia che sembra opera di fantasia, attraverso il quale i patrioti diventavano camorristi e viceversa, i garibaldini diventavano delinquenti e viceversa e dove uomini di Stato come Liborio Romano erano costretti, per quieto vivere, ad arruolare camorristi, trasformati in veri e propri responsabili della sicurezza pubblica.

Francesco Benigno, “La mala setta. Alle origini di mafia e camorra, 1859-1878”, Einaudi 2015, pp 448, euro 35.