MILANO, domenica 6 febbraio ► (di Emanuela Dini) – Un’impresa titanica, anzi due. Impresa titanica le 830 pagine di “M – Il figlio del secolo” di Antonio Scurati, romanzo vincitore del Premio Strega 2019 e impresa altrettanto titanica la versione teatrale, con regia di Massimo Popolizio, che ne è anche protagonista, in scena a Milano al Teatro Strehler fino al 26 febbraio.
«Avevo incontrato Scurati ai tempi dell’uscita del libro, gli avevo chiesto di lavorare insieme per mettere in scena la storia di un macellaio romano che si faceva chiamare Giulio Cesare e si atteggiava alla maniera di Benito Mussolini. Lui, al telefono, aveva controproposto: “Ma perché invece non metti in scena M?”, “Tu sei matto”, clic. E avevo chiuso la telefonata», racconta Popolizio. Poi però ci ripensa, ci riflette più di un mese, ne parla con alcuni amici, raccoglie gli incoraggiamenti di Franco Branciaroli e Umberto Orsini, e comincia a lavorarci.
Un lavoro di sottrazione, di tagli, di smontaggio, che va avanti per ben 11 versioni, ma che non è mai diventato una riscrittura «Non c’è una battuta, una parola, una riga che non sia testualmente ripresa dal libro», ci tiene a sottolineare Popolizio.
Ma il teatro non è letteratura, e la scommessa – vinta – è stata quella di trasformare il materiale storico, sia pur romanzato, in materiale scenico e teatrale. E il “M – il figlio del secolo” teatrale diventa un gustoso, armonico, suggestivo, istrionico e potente spettacolo che ricostruisce la scellerata ascesa di Mussolini, l’allegoria di come un manipolo di scalcagnati esagitati arriva a conquistare il potere, una serie di quadri che raccontano quello che è successo tra il 1919 e il 1924 ma che hanno inquietanti analogie con la nostra realtà odierna e diventano la rappresentazione di un possibile disastro futuro.
La messa in scena si concretizza in 31 quadri, ognuno con un titolo – gli Arditi Sarfatti, Fiume, Fox Trot, Matteotti – che lanciano squarci sui momenti storici e vicende private di un Mussolini agli inizi della sua avventura.
«Ma non è un documentario, non volevo fare un bigino dell’ascesa di Mussolini, piuttosto ho scelto una chiave grottesca, ben lontana da un’adesione letterale e persino fisica ai personaggi», spiega ancora Popolizio.
E infatti i Mussolini in scena sono due, lui, Massimo Popolizio, che incarna un Mussolini guascone e teatrante, che balla il tip tap in guanti bianchi e bastone col pomello, e Tommaso Ragno, il Mussolini “storico”, ma ben lontano dall’iconografia del Duce, anzi difficilmente riconoscibile, col suo fisico alto e asciutto e una fluente chioma di capelli bianchi. Ed entrambi parlano di sé in terza persona, come se si rivolgessero al pubblico per raccontare e spiegare quello che succede in scena.
Scena che è asciutta e rigorosa, di un grigio monocromatico con macchine teatrali che si muovono ronconianamente per tutto il palcoscenico, diventando di volta in volta palco, aula di Montecitorio, covo degli Arditi, tolda di una nave. E pochi, suggestivi ed esaurienti accenni di scenografia – il lampadario dell’hotel, la tavola con la tovaglia candida del pranzo di Natale, il letto sfatto di un’alcova, il trenino giocattolo della Marcia su Roma, la metà auto dell’agguato a Matteotti – che suggeriscono, indicano, fanno indovinare, aprono squarci su una storia che è, di volta in volta, improvvisata, scellerata, astuta, tragica.
Tre ore circa di spettacolo – due tempi, il primo di 1 ora e mezza, intervallo di 15 minuti e il secondo di 70 minuti – che man mano diventano sempre più dense e drammatiche, passando dalle quasi caricaturali figure di D’Annunzio e Bombacci, alle donne amate, usate e abbandonate, alle tenerezze del rapporto epistolare dei coniugi Matteotti fino alla scena dell’agguato a Matteotti e agli algidi resoconti del ritrovamento del cadavere.
In mezzo, musiche dal vivo, cori, canzoni, canti e balli, e una grande attenzione non solo ai costumi di scena, curati e preziosi, ma anche alle acconciature dei personaggi femminili.
Un’impresa titanica molto ben riuscita, a giudicare dai numerosi applausi a scena aperta e dai più che calorosi applausi finali.
“M – Il figlio del secolo”, di Massimo Popolizio, tratto dal romanzo di Antonio Scurati. Collaborazione alla drammaturgia Lorenzo Pavolini. Scene Marco Rossi, costumi Gianluca Sbicca, luci Luigi Biondi, suono Sandro Saviozzi, video Riccardo Frati, movimenti Antonio Bertusi. Con Massimo Popolizio (anche regia) e Tommaso Ragno, e con Sandra Toffolatti, Raffaele Esposito, Paolo Musio, Michele Nani, Tommaso Cardarelli, Alberto Onofrietti, Riccardo Bocci, Diana Manea, Michele Dell’Utri, Flavio Francucci, Francesco Giordano. Al Teatro Strehler di Milano fino al 26 febbraio, poi al Teatro Argentina a Roma dal 4 marzo al 3 aprile e ancora a Milano nell’autunno 2022.