FIRENZE, venerdì 11 gennaio ► (di Carla Maria Casanova) È l’opera wagneriana autobiografica per eccellenza, la giovanile “Der Fliegende Holländer” (L’Olandese volante, alias Il vascello fantasma). Come in una pagina di diario, racconta soprattutto di una tempesta. Quella che il ventiseienne Richard subì a bordo della goletta Thetis nella traversata del mar Baltico, compiuta insieme con la moglie Minna, in fuga da Riga perché assediato dai creditori. La tempesta fu tale che l’imbarcazione, diretta a Londra, si salvò trovando riparo nel fiordo norvegese di Sandwike.
Wagner tradusse il trauma di quell’esperienza con i mezzi che gli erano propri: la musica. Iniziò a comporre l’opera due anni più tardi, nel 1841, inserendo l’episodio vissuto nella saga nordica dell’Olandese volante, dal poema di Heinrich Heine. Rappresentata a Dresda nel 1843, ottenne un successo cordiale. È la prima pietra della grande epopea wagneriana (prima, c’era stato “Rienzi”, subito dopo sarà il capolavoro: “Tristano e Isotta”).
Il compositore presentò l’Olandese a Luigi di Baviera come “un’opera tutto sommato di poche pretese, e tuttavia già pervasa dal mio vero stile…” Poche pretese?! Basterebbe l’eccitante roteare dell’arcolaio che accompagna l’ossessiva Ballata delle ragazze (atto secondo) o il formidabile scontro corale degli equipaggi delle due navi, per annunciare l’inizio di una nuova era nella storia della musica. Ed è già presente anche il concetto centrale che diverrà, da adesso in poi, un Leitmotiv della poetica wagneriana: la redenzione.
La storia è nota. Un capitano di ventura, a seguito di una maledizione, è condannato a vagare per i mari sul suo vascello maledetto fino al giorno del Giudizio, a meno che una donna gli giuri, beninteso mantenendo il patto, amore ed eterna fedeltà. La possibilità di redenzione avviene un solo giorno, ogni sette anni.
L’ho fatta breve. In verità la vicenda è più complessa ed è corroborata dal mistero della leggenda che aleggia sulle ragazze da marito, con l’attesa paranoica di Senta che si sente predestinata, l’arrivo reale dell’Olandese, il malinteso creato da Erick, innamorato della ragazza e a conclusione dell’immolarsi di lei seguendo l’Olandese nei flutti, affinché sia redento.
Opera in tre atti di insolita brevità per Wagner (al totale due ore e mezza di musica), l’Olandese è andata in scena ieri al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino (un solo intervallo dopo il primo atto – edizione originale con sottotitoli).
L’allestimento, affidato a Paul Curran regista, Saverio Santoliquido scene, Gabriella Ingram costumi, David Martin Jacques luci, gioca con fluttuanti proiezioni su cielo e mare, onde e nubi per un tutto procelloso gravido di sinistri presagi. Soprattutto il mare imperversa spaventoso, finché compare il tremolante fantasma del vascello. Grande buio. Primo e terzo atto paiono svolgersi di notte. Nel secondo, le ragazze che tessono il corredo sgambettano su macchine Singer anziché all’arcolaio, e la ballata che cantano non è molto gioiosa anche perché Senta, che sbeffeggiata dalle amiche insiste a rimirare il ritratto dell’ipotetico innamorato, la prende molto sul serio. E fa bene, giacché lui arriva per davvero. L’incontro che immobilizza i due colpiti dal fatale coup de foudre, 5 minuti a guardarsi senza parlare, è di emozione travolgente.
Ma c’è qualcosa di magico che è mancato, in questo incontro. Curran (attivo anche in Italia da oltre vent’anni) nelle note di regìa individua la scelta di Senta nella solita ottica della “donna moderna” (ma quando mai l’amore ha seguito strade diverse in tempi antichi o moderni?) e spiega che – parole di Curran – “forse dovremmo prestare attenzione a quel che chiediamo, perché potremmo essere condannati ad ottenerlo e a conviverci” parole il cui significato mi sfugge. Da un punto di vista tecnico, Curran opera una confusione nel finale: Senta se ne va e la si immagina buttarsi nel flutti per ricongiungersi con l’Olandese, ma ecco che riappare, illuminata, sullo scoglio, mentre l’Olandese, da terra, tende invano le mani verso di lei. Scambio di ruoli?
Sul podio c’è Fabio Luisi, direttore musicale del Maggio e per la prima volta in Italia alle prese con Wagner. Luisi è un grande direttore. È anche un grande direttore wagneriano? Lo è certo nel sostenere lo scontro vigorosissimo tra i due cori dei marinai (Coro del Maggio e Coro Ars Lyrica di Pisa), nel diffondere la forza e l’impeto degli elementi, forse lo è meno nel raccontare il senso del destino e lo struggimento romantico dei due innamorati. I quali sono Thomas Gazheli – Olandese, all’inizio vocalmente scomposto, poi riassettatosi nel corso dell’opera – e Marjorie Owens, soprano dal timbro bellissimo, con linea di canto solida e flessibile (peccato quella immensa stazza fisica, oggi quasi improponibile). Daland è il giovane russo Michail Petrenko, figlio d’arte provvisto di voce possente, mentre il fidanzato Erik, figura di solito di secondo piano, è stato interpretato alla grande da Bernhard Berchtold (in sostituzione del tenore Peter Tantsist che, alla prova generale, si era difeso strenuamente, con rara passionalità di accento, da un’incipiente indisposizione). Teatro esaurito, grandi applausi per tutti.
Repliche il 13, 15, 17.
E dopo lo shock di una tempesta sul mar Baltico, il fuggitivo Wagner, incalzato dai creditori, scrisse “L’olandese volante”
11 Gennaio 2019 by