MILANO, venerdì 6 ottobre ► (di Emanuela Dini) Scritta nel 1919 da un Bertold Brecht poco più che ventenne (era nato il 10 febbraio 1898) e rappresentata per la prima volta a Monaco di Baviera nel 1922, “Tamburi nella notte” è una commedia ambigua, che nasce come dramma e atto di denuncia, con riferimenti alla rivoluzione spartachista (che appunto nel gennaio 1919 venne soffocata nel sangue, con l’uccisione dei suoi ispiratori e leader, Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg), ma poi vira nella commedia e segue le vicende amorose di due fidanzati, fino a un lieto fine dal sapore molto mélo.
L’azione si svolge tutta in una notte del novembre 1918, a Berlino, mentre si prepara la rivolta. I gretti coniugi Balicke vogliono imporre alla figlia Anna un matrimonio d’interesse con l’arricchito borghese Murk, anche se la ragazza aspetta ancora il suo ex fidanzato Andrea Klager, dato per morto in guerra. Ma Andrea riappare, Anna si accorge di esserne ancora innamorata, manda a monte il fidanzamento e alla fine vissero tutti felici e contenti, con Andrea che volta le spalle alla rivoluzione e sposa Anna, anche se lei è incinta di Murk.
Raccontata così sembrerebbe più una telenovela che un’opera di Brecht, ma l’intreccio si svolge tutto sullo sfondo della rivoluzione spartachista e il testo va avanti su un doppio binario, amore e politica, privato e pubblico, ideali rivoluzionari e opportunismo borghese, con l’idealizzazione forse un po’ ingenua dei primi (in fondo Brecht aveva 21 anni) «Essere giovani e non essere rivoluzionari è una contraddizione biologica» e un’acida condanna del sentimentalismo «L’amore rende scemi».
Il testo è denso, con afflati rivoluzionari, speranze sul crollo del capitalismo, raffigurazioni feroci del mondo dei piccoli borghesi e figure romantiche, come le cameriere-cantanti (e, se capita, prostitute) del café chantant berlinese, che emanano saggezza, disincanto e buonsenso.
La messa in scena al Filodrammatici (un atto unico di un’ora e 20), con la regia di Francesco Frongia, è quasi grottesca, con toni da vaudeville e una rivoluzione che non compare mai in scena, ma si intuisce, con quei rulli di tamburi del titolo, appena accennati, con le bandiere rosse arrotolate, e con i rivoluzionari – convinti? -, mah, forse sì, e con quei gretti genitori borghesi, macchiette caricaturali. Insomma, una rappresentazione sempre sul filo del comico caricaturale, che non tocca mai le corde del dramma, anche nelle scene più intense in cui ce lo si aspetterebbe.
Bravi e convincenti gli interpreti, con una menzione d’onore all’attore che ricopre il doppio ruolo del padre di Anna e della cantante del café chantant – peccato non sapere il suo nome – calorosi gli applausi.
TAMBURI NELLA NOTTE, di Bertold Brecht, versione scenica di Emanuele Aldovrandi, regia Francesco Frongia, con Luigi Aquilino, Edoardo Barbone, Denise Brambillasca, Gaia Carmagnani, Eugenio Fea, Ilaria Longo, Simone Previdi, Alessandro Savarese, Valentina Sichetti, Irene Urciuoli, Daniele Vagnozzi. Scene e costumi Erika Carretta. Al Teatro Filodrammatici – Via Filodrammatici 1, Milano – Fino a domenica 15 ottobre.