E poi il monoteismo mise fine al pluralismo pacifistico del politeismo. Ma per Maurizio Bettini, forse, chissà

(di Andrea Bisicchia) È noto come, nel mondo antico, le religioni fossero parte integrante delle norme e dei costumi della polis, proprio perché considerate alla stregua delle leggi. Non erano rappresentate da un “Libro Sacro”, la cui caratteristica consisteva nella particolarità della “Scrittura”. Sul termine sacro, applicato alle religioni monoteiste, sono nate delle controversie tra gli studiosi, c’è chi preferisce utilizzare il termine “ispirato”e chi propone: “scritto da Dio”. Nelle religioni antiche non si faceva alcun cenno a “Libri Sacri”, non lo era nemmeno la” Teodicea” di Esiodo, perché, come L’Iliade e L’Odissea, apparteneva al Libro dei Miti.
Gli apologeti cristiani, come Tertulliano, sostenevano che lo strumento della scrittura favoriva l’incontro diretto con Dio, inoltre, grazie ad essa, era possibile confermare la propria fede (Apologeticus, 18,1). Si trattava di un aiuto più potente rispetto a quello delle “visioni” che contraddistinguevano le religioni classiche e i loro “Eidola”.
Maurizio Bettini, docente di antropologia del mondo antico, oltre che raffinato filologo, in un volume appena uscito presso Il Mulino,”Elogio del politeismo. Quello che possiamo imparare oggi dalle religioni antiche”, in XV capitoli brevi, ma intensi,anche per i ricchi riferimenti bibliografici, parte da un assioma: le religioni antiche erano religioni a tutti gli effetti, affermare che fossero superate era come dire che lo fossero anche Omero, Esiodo, Erodoto, Virgilio. Per Bettini, i prodotti della cultura, come le religioni, non vanno sottoposti al tempo e alla conseguente evoluzione, sono da studiare così come si continuano a studiare la filosofia o il teatro dei Greci e dei Romani, senza che le loro divinità fossero considerate false e bugiarde. Con “la distinzione mosaica”: “Non avrai altro Dio fuori di me” e, quindi, con la nascita dei monoteismi, le religioni antiche subirono l’appellativo di “pagane”, tanto più che le divinità dei loro templi erano state degradate a semplici personaggi mitologici.
La fede in un unico Dio creò quell’intolleranza religiosa sconosciuta nell’antichità, dato che, sia presso i Greci che presso i Romani, si erano stabilite delle corrispondenze fra divinità appartenenti a popoli diversi, fino al punto di “tradurle” e di ammettere un interscambio, tanto che Serapide veniva identificato con Iuppiter, Iside con Atena, Aphrodite con Venus, Poseidon con Neptunus etc.
Il politeismo era considerato un sistema aperto, grazie al quale erano impensabili guerre di religione, data la caratteristica plurale delle divinità. Fu la “distinzione mosaica” a vietare qualsiasi relazione fra divinità appartenenti a religioni diverse. Per la cultura classica, le divinità altrui si potevano imporre col passare del tempo e, successivamente, integrarle alle proprie.
Secondo Bettini, alcuni quadri mentali, che erano propri del politeismo, sarebbero stati utili per ridurre il tasso di conflittualità fra le diverse religioni monoteiste. Questa sua osservazione è surrogata dal Catechismo della Chiesa cattolica, ben disposta al dialogo interreligioso.
A tale scopo sarebbe bastata, secondo Bettini, una percezione fluida della “esclusione mosaica” e della stessa “Scrittura”, visto che oggi, quanto è stato scritto, lo si sta sostituendo con quanto è stato visto, benché questo non intacchi il carattere eterno del “Libro”, essendo Dio stesso l’autore. Bettini è convinto che sarebbe sufficiente attingere a certe risorse del politeismo per rendere più sereni e pacifici i rapporti tra i monoteismi.
Maurizio Bettini,”Elogio del politeismo. Quello che possiamo imparare dalle religioni antiche” – Ed. Il Mulino – pp.154 – 2014 – euro 12.