E un giorno, chissà, i nostri cari estinti saranno degli ologrammi, che, in una vita virtuale, avremo sempre vicini a noi

MILANO, venerdì 25 ottobre ► (di Paolo A. Paganini) L’Alzheimer è una brutta bestia, un mostro subdolo e silenzioso che entra nella mente e la divora. Un pezzettino alla volta. Fino a distruggere, ad uno ad uno, milioni di neuroni. Comincia con un nome, poi una data e, via via, un viso, un indirizzo, una persona cara, tutte le persone care, i ricordi belli o brutti, gli ideali, la fede, il pensiero, la parola, il rispetto di se stessi, la dignità. Tutto va in cenere, tutto si disperde. Rimane, forse, qualche spezzone di ricordo, fra i più antichi, fra i più profondi, che il mostro non riesce a raggiungere.
Il repertorio di questa sistematica distruzione si può sintetizzare con una sola definizione: perdita progressiva della memoria.
Ma, per le sconfinate praterie della fantasia, gli scienziati, gli ingegneri, i creativi della tecnologica hanno escogitato una geniale controffensiva. Probabilmente, si tratta di una competizione affascinante solo da un punto di vista teorico: cioè da una parte l’utilizzo della memoria umana, con i suoi cento miliardi di neuroni, dall’altra parte la memoria artificiale, o intelligenza artificiale, quella dei computer, per capirci, che tenterà di essere sempre più simile al cervello.
La competizione è tuttora aperta. E affascinante.
Si pensi all’olografia. È una tecnologia ottica di memorizzazione di informazioni visive, tra onde luminose, luci laser, riflessi speculari. Ed ecco nascere una immagine tridimensionale, capace di riprodurre la realtà presente o passata, creando personaggi di fantasia come se fossero veri, esistenti, ma immateriali. Il cinema se n’è servito (si pensi, per esempio, a “Guerre spaziali”, con quegli omini azzurri che interloquivano con l’equipaggio delle astronavi), e la Televisione (strepitoso il successo della serie TV britannica, “Black Mirror, in 22 episodi, che, dal 2011 ai giorni nostri, ha esplorato le peggiori paure, i più oscuri istinti e i disagi collettivi dell’umanità, legati alla tecnologia).
E fermiamoci, ora, dopo doverosa premessa, al teatro, dove, al Franco Parenti, è in scena “Marjorie Prime”, di Jordan Harrison, regia di Raphael Tobia Vogel (anche film di Michael Almereyda nel 2017).
Viene simulato, grazie a un immaginario ologramma, il ritorno in vita di un caro estinto, marito, con le sembianze da giovane, di un’ottantenne con già i sintomi dell’Alzheimer. Il marito parla con lei, simula sentimenti che non può avere, le ricorda i fatti passati. Insomma, un fantasma consolatore, programmato dal genero, per tentare di rimettere ordine in quella mente disturbata dall’Alzheimer. La donna vive nell’appartamento del genero e della figlia, che, a sua volta, dimostra sofferte nevrosi e gravi disagi, per quella madre vagamente svampita.
Il precipizio della vecchia madre verso il buio della mente è seguito in un alternarsi di scene con un crescendo di scarti cronologici, fino ad assistere alla vita virtuale della vecchia, ormai defunta e divenuta, a sua volta, un felice ologramma. Fino alla scomparsa della figlia, anche lei divenuta ologramma. E avanti tutta con gli ologrammi, comprendendo infine anche il genero. Ed eccoli, tutti insieme: vecchia madre, giovane marito, figlia, genero, tutti ologrammati, a conversare, ricordare, vivere nell’assurdo d’un inquietante finale.
Ma sarà poi assurdo davvero?
In un’ora e venti senza intervallo Ivana Monti, nella parte dell’ottantenne colpita dall’Alzheimer, dà una portentosa prova di simpatia e di misurata abilità scenica, senza strafare, senza effetti di simulate sofferenze: una donna che vuole a tutti i costi combattere e mantenere, prima di arrendersi, la propria dignità di persona. Di bella e convincente presenza, con la sua fragilità di figlia, Elena Lietti. E in giusto equilibrio la glaciale presenza scenica di Francesco Sferrazza Papa (il giovane marito) e l’intensa partecipazione di Pietro Micci (il genero). Regia ordinata e convincente di Raphael Tobia Vegel, con un fondale bello e suggestivo di Cristina Crippa.
Applausi ed entusiasmo alla fine per tutti. Si replica fino al 17 novembre.