Ecco dunque il portentoso Hobbit. E, dopo due trilogie, con “La battaglia delle cinque armate” calerà infine il sipario

GIOVEDI, 18 dicembre  ♦  the_hobbit_3_wallpaper_1920x1080_by_sachso74-d7s8axo
(di Marisa Marzelli)  E venne il giorno degli addii alla Terra di Mezzo. Dopo due trilogie (la prima ha vinto 17 Oscar) nello spazio di 13 anni, il regista neozelandese Peter Jackson sembra aver concluso le sue scorribande nel mondo di J.R.R. Tolkien. È indubbio che dalla saga del Signore degli Anelli (2001-2003) il cinema fantasy non è più stato lo stesso. Dal marzo 2011 a inizio luglio 2012 sono stati invece girati i tre film tratti da Lo Hobbit, poi distribuiti uno all’anno sotto Natale. Genesi e destino diversi per questa seconda trilogia. Intanto, Lo Hobbit (pubblicato nel 1937 e anteriore al Signore degli Anelli, che è del 1954-‘55) è meno famoso, ed è un libro più scarno, dal quale comunque si è deciso di trarre tre film, allungando e dilatando, aggiungendo persino un personaggio assente nel testo (l’elfa Tauriel) che ha irritato i puristi tolkieniani. Pareva dovesse dirigere Guillermo del Toro, poi rimasto solo come co-sceneggiatore. Così ecco il ritorno del re, non Aragorn ma il regista Peter Jackson (anche co-sceneggiatore e produttore), che ha ora portato a termine l’operazione, con successo ma senza più la sorpresa e la magia. Ai tempi del Signore degli Anelli la tecnologia era diversa, non imperversava il 3D.
La trilogia dello Hobbit (Un viaggio inaspettato, 2012; La desolazione di Smaug, 2013, La battaglia delle cinque armate, 2014) è un prequel e si svolge settant’anni prima del Signore degli Anelli. Racconta le avventure giovanili dello hobbit della Contea Bilbo Baggins (Martin Freeman), insieme al mago Gandalf (Ian McKellen) e a tredici nani.
All’inizio della Battaglia delle cinque armate si chiude il precedente episodio (che era rimasto in sospeso): il terribile drago Smaug, custode dell’immenso tesoro della Montagna Solitaria, rubato un tempo ai nani, viene ucciso dalla freccia di un umano. Nani, elfi e uomini stanno per contendersi il tesoro, ma l’arrivo degli orchi mandati da Sauron (il signore oscuro del Male) li convince ad allearsi. E dal finale del film idealmente partono le premesse della Trilogia dell’Anello.
Pur lavorando sulla coralità, la regia non perde di vista i personaggi principali, riservando loro ampio spazio. Jackson – già era una caratteristica del Signore degli Anelli – non si preoccupa particolarmente del rigore narrativo, e non sempre è facile per lo spettatore capire che cosa stia succedendo; ma crea proprio come Tolkien – un mondo, anche estetico. L’imponenza della visione architettonica (montagne, rupi, torri, castelli, un lago ghiacciato, la geometria degli eserciti, l’asimmetria dei personaggi: elfi filiformi, orchi ripugnanti, hobbit quasi caricaturali rispetto ai quali i nani diventano giganti…) prevale sulla logica del racconto, continuamente frammentato per rincorrere scenari diversificati. Su tutto domina il movimento, dei singoli e delle masse. L’eleganza degli arcieri elfi, la forza bruta degli orchi, il coraggio degli eroi umani, la tranquilla ragionevolezza hobbit.
Resta negli occhi dello spettatore una magnifica coreografia, ottenuta con un uso poderoso ma sapiente della computer grafica, anche se il 3D non sempre essenziale o sorprendente scurisce parecchio l’immagine.