Ecco i tre Re dell’“enrieide” shakespeariana (per non parlar di Falstaff) in uno spietato gioco del potere

collage kingsMILANO, venerdì 7 novembre
(di Paolo A. Paganini)  Ho visto un re. Sa l’ha vist cus’è…cantava Jannacci. E, oltre al re, mi è venuto in mente anche il “Nerone” di Petrolini… Ma, a parte le mie “irrispettose” associazioni d’idee, solo per ragioni di contrasto, mi sono riemerse anche più serie e memorabili interpretazioni di re shakespeariani, che ora, in un condensato di finezze drammaturgiche, Alberto Oliva, ha riproposto in un’ora e trenta senza soluzione di continuità, come un drammatico e perverso gioco del potere, con un re di seguito all’altro. Nel senso che, come una matrioska, ecco per primo uscire dall’involucro della storia Re Riccardo II (1377-1400), raffinato, ma dispotico, rigido e impopolare monarca poco incline alle armi (e quindi poco amato).
Riccardo II è il dramma d’un uomo solo. Spogliato della sua autorità, deve subire il tradimento degli amici, subire l’ignominia delle segrete, dove morirà assassinato, dopo aver dovuto cedere la corona a Enrico Bolingbroke, che ne usurpa il trono per diritto di conquista e per elezione.
Enrico IV, l’usurpatore e tormentato monarca (1399-1413) è, fra i sacri testi shakespeariani opera monumentale, divisa in due parti: uno dei lavori più felici e rappresentati di Shakespeare. Anche perché una gran parte delle sue fortune è dovuta alla geniale invenzione d’un amatissimo personaggio (anche Verdi se ne innamorò), il godereccio, opportunista, cialtronesco, millantatore, ubriacone Sir John Falstaff, simpatico irresistibile furfante, compagno di bagordi del giovane principe ereditario, il futuro Enrico V (1413-1422, conquistatore della Francia dopo la battaglia di Azincourt).
Ma lo scapestrato Enrico, una volta salito al trono, metterà la testa a posto, tanto da voltare le spalle e rinnegare il povero Falstaff, che ne morirà (ah, quante cose insegna il teatro!).
Con Enrico V si conclude la tetralogia shakespeariana, denominata “enrieide”, cominciata, come abbiamo visto, con Riccardo II.
E con Enrico V si conclude anche l’operazione registica di Alberto Oliva, il quale, eliminati fronzoli apologetici, disquisizioni dinastiche, storicistiche esegesi, si è giustamente limitato a una granitica operazione di sintesi e di abilità filologica. In poco più di un’ora non avrebbe potuto fare di più. La succosa e stringata opera (non spiacerebbe a una versione TV) rimane una rispettosa, e (perché no?) propedeutica sintesi della tetralogia, mettendo a fuoco soprattutto “il gioco del potere”, ch’è poi, il sottotitolo esplicativo di “Kings”, da “Riccardo II”, “Enrico IV” e “Enrico V” di Sakespeare (drammaturgia di Michelangelo Zeno),andato in scena nello Spazio Tertulliano, un funzionale atelier teatrale in una gabbia di tralicci scenici.
I generosi “compagni d’arme” di Oliva (con qualche squilibrio nelle voci):
GIUSEPPE SCORDIO (è un vibrante Enrico IV); ENRICO BALLARDINI (è il dibattuto Riccardo II, anche nella parte di Hotspur); ANGELO DONATO COLOMBO (è uno scanzonato Enrico V, anche nel ruolo – riuscitissimo – di Bagot); PIERO LENARDON (è un colorito Falstaff). E poi: FEDERICA D’ANGELO (Lady York e Lady Hotspur); MARTINO PALMISANO (Northumberland), PAOLO GRASSI (York).

Pubblico attento e alla fine prodigo di calorosi consensi.

“Kings – Il gioco del potere”, da Shakespeare, con Giuseppe Scordio, Enrico Ballardini, Angelo Donato Colombo. Regia di Alberto Oliva. Spazio Tertulliano, Via Tertulliano 68, Milano – Repliche fino a sabato 22.